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Olimpiade 2016, si sceglie

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Un G4: quattro città - meglio sarebbe scrivere quattro nazioni - candidate ad ospitare i Giochi olimpici del 2016, protagoniste ed ostaggio di un meccanismo il cui esito, più che dipendere dall'affidabilità organizzativa ostentata da Chicago piuttosto che da Madrid, da Rio o da Tokyo, è in massima parte legato agli umori personali, ai voti di scambio, agli interessi e agli accordi transnazionali dei 106 componenti del Comitato olimpico internazionale. Per molti d'essi, la notte appena trascorsa sarà archiviata tra le più lunghe ed insonni della vita. Per più d'uno, tra le più lucrative. Appartamenti e quartieri presidenziali, sale, bar e corridoi d'albergo, tutto infallibile fotocopia, trasferita disinvoltamente nel mondo dello sport, di quanto accade negli ambienti quotidiani della politica, un enorme transatlantico collocato di peso nella capitale danese. Atteso per il tardo pomeriggio, l'annuncio pagano pronunciato urbi et orbi dal presidente del CIO Jacques Rogge, mentre farà esplodere le piazze di una città, esposta alle telecamere secondo una ritualità in cui si sovrappongono genuinità di passioni e inevitabili necessità di mercato, vedrà al contrario il mesto rientro in patria delle pletoriche rappresentative giunte a Copenaghen dall'Europa, dall'Asia, dal nord e dal sud America. Ancor più del passato, inciderà sul voto la potente scesa in campo, per ognuna delle quattro nazioni, dei vertici istituzionali, alcuni dei quali, nelle ultime ore, non proprio in linea con norme di fair play. Bisognerà vedere quanto peseranno sulla bilancia di Chicago il carisma e la prorompente carica umana del presidente Obama e della signora Michelle. Quale incidenza avrà l'esuberanza del presidente Lula, e molto meno l'immagine ormai inflazionata e arrugginita di un campione come Pelè, notabili di un paese dai colossali contrasti economici e sociali ma proiettato a grandi prospettive future. Oppure, meno visibili nelle esposizioni personali, la compostezza e il radicale pragmatismo della giapponese Tokyo, presente con Yukio Hatoyama, il sessantaduenne cristiano-battista eletto al vertice del Governo nipponico appena quindici giorni fa, forte dei 34 miliardi di dollari depositati da tempo in banca a garanzia dei Giochi. O l'affidabilità ambientale, etnica, culturale, non artificiosa della vecchia Europa, rappresentata dalla capitale spagnola e da re Juan Carlos Zapatero, avendo alle spalle la potente evocazione della vivibilissima Barcellona olimpica del 1992.

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