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Dal Consiglio un verdetto duro ma inevitabile

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Dispiacedirlo, perché di mezzo c'è un italiano, ma la spietata sentenza emessa ieri dal Consiglio della Fia non fa una grinza. Tutti gli imputati, naturalmente escluso lo stesso Briatore, hanno confessato di aver commesso un gravissimo illecito sportivo truccando l'esito di una gara. Lo ha confessato l'autore materiale dell'illecito, Nelsinho Piquet. Lo ha confessato, vergognarsene, Pat Symonds, probabilmente il vero ideatore. E, dopo aver condotto un'indagine interna allo scopo di appurare che cosa era veramente accaduto quel giorno a Singapore, lo ha confessato la Renault, cioè uno dei colossi mondiali dell'industria dell'auto, partecipata dallo Stato francese. E ci vuole davvero una bella dose di fantasia per sostenere che Briatore - anziché, in quanto capo del team, principale responsabile di un disgustoso misfatto che ha violato i principi etici fondamentali dello sport - sia la vittima di un complotto cui la Renault avrebbe preso attivamente parte. Certo, è vero che l'eliminazione fisica di Briatore costituisce il colpo di coda del peggior presidente che la Federazione Internazionale dell'Auto abbia mai avuto, il diabolico avvocato-affarista Max Mosley, uno che non sai mai se sta agendo nell'interesse dello sport o dei propri amichetti, a cominciare da Ecclestone, e che ha semidistrutto la credibilità della F1. Mosley l'aveva giurata sia a Briatore sia a Ron Dennis, l'ex boss della McLaren prepensionato da qualche mese. Li considerava i mandanti dello scandalo sado-maso dal quale fu travolto (ricordate? il festino con prostitute in divisa nazista, fruste, ecc) e voleva vendicarsi prima di essere costretto a lasciare la presidenza, il mese prossimo. Ma è altrettanto vero che la testa sulla ghigliottina mosleyana sono stati proprio loro a mettercela: l'uno, Dennis, rubando i segreti tecnici della Ferrari e facendosi scoprire con le mani nel sacco; l'altro, Briatore, organizzando la truffa di Singapore. Né, secondo me, fa troppo scandalo la disparità delle pene comminate agli imputati. Se è sacrosanta la radiazione inflitta a Briatore (con l'annessa perenne proibizione di iscrivere alle competizioni Fia piloti che da lui si facciano rappresentare, tanto per impedirgli di ricicciare in veste di procuratore, alla Moggi), non mi sembra invece che la «vergogna» che Symonds ha dichiarato di provare potesse bastare a redimerlo al punto da limitare a 5 anni la durata del bando nei suoi confronti: doveva essere a sua volta radiato. Ma per il resto sono logiche e accettabili sia la condizionale applicata alla Renault - che, aldilà di ogni responsabilità oggettiva, della vicenda è in realtà stata vittima e che, soprattutto, ha contribuito in modo decisivo a far luce sull'illecito - sia l'immunità garantita a Piquet jr in cambio della confessione, ricalcata su quanto in tutto il mondo si fa per favorire i cosiddetti «pentimenti» di malavitosi. Tantopiù che il povero Nelsinho è comunque bruciato per sempre. Ineccepibile, infine, l'assoluzione di Alonso, che non sapeva niente. Ora lo spagnolo potrà approdare alla Ferrari immacolato. Finisce così, malamente, l'avventura di Briatore in F1. Sono stati vent'anni di successi e sconfitte, smargiassate e colpi di genio, canagliate e giuste battaglie, arricchimento e glamour. Briatore ha vinto 7 mondiali, è stato beccato almeno due volte (nel '94) a truccare le sue macchine, ha creato e distrutto piloti, è stato giubilato (da Benetton) ed è risorto, ha blandito, litigato, pontificato, minacciato, incassato, pagato, servito e tradito. Tutto è tranne che uno stinco di santo, ma ha contributo ad applicare molti lustrini sulla F1 e adesso sarà inevitabile, visto che ai suoi jeans e al suo slang anglo-piemontese avevamo fatto il callo, sentirne un po' la mancanza.

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