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Quelle trasferte improponibili del calcio sparito

Calcio

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Metropolitana: e non è una leggenda. Riparte, la nuova Serie A, dalle stesse propensioni delle stagioni più recenti, lo Strapaese dei sogni iperdimensionati resta un lontano ricordo, con qualche tentazione alla nostalgia subito zittita dalla ragione, che pretende piazze importanti per garantire un alto livello di attenzione, e anche di risvolti economici. Sono tornate città di primissimo piano, da Firenze a Napoli, alla Lanterna rossoblù, adesso anche Bari e perfino il fascino culturale di Parma.   Le metropoli hanno perso la metà granata di Torino, neanche Reggio Calabria e Lecce sono defezioni irrilevanti, ma nel complesso il cammino intrapreso sembra ormai a senso unico, anche quando i miracoli minacciano l'avvento di un Albinoleffe e di un Grosseto, o il ritorno di un Empoli. Non ci mancherà molto, in relazione a un passato non lontano, la deprimente visione del trevigiano «Omobono Tenni», i posti di platea più ambiti rappresentati dai balconi delle case circostanti. Un robusto salto indietro nel tempo ci riporta invece alle presenze, magari negate alla continuità, dei piccoli centri urbani e di quell'apporto di tifo microscopico nello stesso campionato che regalava gli stadi gremiti di Roma, di Milano, di Torino, di Genova, di Bologna e così via, tutti rappresentati i più significativi capoluoghi di provincia. Nel primo campionato a girone unico trovava larga rappresentanza la provincia piemontese: e se occasionale sarebbe risultata la presenza di Casale Monferrato (coltivazione intensiva di zanzare, esperienza da incubo), assai più rilevante sarebbe stata la capacità di sopravvivenza di un Novara, con i miti Silvio Piola e Udovicich, e soprattuto dell'Alessandria, capace di mantenersi a livelli di élite fino all'irrompere degli Anni Sessanta. Ricordi teneri, quello di un pubblico capace di dedicare un'interminabile standing ovation a un giocatore avversario: come avvenne per Alcide Ghiggia, dopo una larga vittoria della Roma al vecchio Moccagatta, nell'inverno del 1957. Certo, le trasferte alessandrine nei mesi meno clementi dell'anno non destano nel ricordo del cronista immagini da custodire gelosamente: un week-end (si viaggiava in treno, d'obbligo anticipare i tempi) ad Alessandria era puntualmente vissuto con lo stato d'animo della vocazione al suicidio, tra nebbia, freddo e zero attrattive. La ragione induceva poi a vedere il bello della vita nella consolazione della splendida cucina dell'albergo «Alli due bovi rossi». Altre piccole realtà del calcio di quei tempi, in grado di sfuggire a ogni richiamo turistico. Busto Arsizio, tante volte presente con la sua Pro Patria, forte di un bomber mancino come Candiani, stella anche dell'Inter. Tante anche le squadre lombarde di passaggio, dai lilla del Legnano ai blucelesti del Lecco, illuminati da un centravanti di prestigio come il brasiliano Clerici.   E poi la provincia di media dimensione, dal Cesena, all'Avellino, all'Ascoli di Cino Del Duca, alla Ternana che avrebbe consentito a Corrado Viciani di stupire con il suo «gioco corto» propiziatore di stagioni importanti anche nella massima divisione. E ancora città molto gradevoli, come Mantova e Cremona: la prima, sponsorizzata «Ozo», avrebbe schierato grossi calibri come Sormani, Schnellinger e Jonsson, tutti futuri romanisti, l'altra sarebbe risalita tre volte prima della resa definitiva, datata 1996. Altre da citare, Foggia, Catanzaro, Varese, Pistoiese: per i toscani, un record singolare, aver pescato in Brasile tale Luis Silvio, riconosciuto all'unanimità numero uno tra i «bidoni» approdati nel nostro calcio.

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