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Non sa perdere ecco il limite di Mourinho

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Fosseprevedibile, non sarebbe il gioco del pallone. Così, proprio per la sua essenza, può capitare che il più debole, a sorpresa, batta il più forte. Perché nella sua semplicità, il pallone è fatto così: vince chi segna un gol in più. A Pechino c'è riuscita la Lazio. E l'Inter è tornata a casa con tanta amarezza. In questo primo scampolo di calcio vero la storia dei due tecnici salta agli occhi. Davide Ballardini vince il suo primo trofeo, manda in estasi un popolo, ma sembra quasi scusarsi di tanto ardire. Non avvezzo ai riflettori, finisce per diventare il più normale, tra i normali. Buon per lui. C'è il suo presidente, più catodico di una velina, a mantenere l'audience a livelli accettabili per la Lazio. Dall'altra parte il ricco, celebrato e osannato, Josè Mourinho. Al quale perdere non piace. E questa è una qualità. Ma che ha dimostrato di non saper perdere. Per carità, la sua analisi nel dopo partita sui limiti della Lazio e sulle qualità dell'Inter non fa una piega. Ed allora, lo «special one» ha perso un'occasione. Quella di dimostrare la sportività di chi, avendo vinto molto e avendo vissuto molto nel calcio, sa che queste giornate possono capitare. Che non c'è bisogno di chiedere allo specchio se sei il più bello del Reame; che un complimento alla Lazio, cinica eppure abilissima a sfruttare con due gol i tre tiri a disposizione, ci stava tutto. Che a volte, anche se si è dimostrato il gioco migliore, i giocatori migliori, può capitare di sbagliare. E di perdere. Che poi il ragionamento di Mourinho sia condivisibile, è altra questione. Come ha ricordato il collega Giancarlo Baccini sulle colonne di questo giornale, i rischi adesso sono tutti per la Lazio. Che magari immagina di trovare sempre accanto a se la sorte di Pechino. E non per l'Inter, che dopo l'amarezza cinese, avrà quella rabbia agonistica in più per non sbagliare. Così, nel dopo partita, uno scambio di ruoli sarebbe stato più gradito. Che Ballardini si lasci andare per una volta. Che di vittorie così, in fondo, non è piena la storia della Lazio, se si è dovuto attendere nove anni per bissare quella di Supercoppa italiana. E da Mourinho ci sarebbe piaciuto ascoltare altre parole. Complimenti vivi, a chi - più debole e sulla carta inferiore - con l'orgoglio e con la grinta ce la fa. Parole più dolci e meno autoconsolatorie. È strapagato anche per non sbagliare le sue uscite pubbliche, il divo Josè. E allora che si sciolga, ogni tanto, specie davanti ad una sconfitta inopinata e imprevedibile. È la storia del pallone. Anzi, del Mondo: ogni tanto, ma solo ogni tanto, Davide batte Golia. E se Golia prende d'aceto, bè, peggio per lui.

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