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Da Avellino a Pisa il calcio sparito

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«Presidente,a questa squadra manca l'amalgama». «Come hai detto che si chiama? Lo compriamo subito». L'aneddoto, sospeso tra la realtà e la leggenda, riguarda Antonio Sibilia, patron dell'Avellino negli anni d'oro della serie A. Uno di quei personaggi che, nel calcio moderno, sono ormai sempre più rari e semmai confinati nelle categorie minori, mentre solo venti anni fa, con molte idee e pochi soldi, erano capaci di creare compagini combattive in grado di giocarsela con le corazzate del nord. Un po' quello che ha rappresentato Romeo Anconetani per il Pisa, tredici stagioni in serie A, e tanti campioni schierati sul prato dell'«Arena Garibaldi», dall'attuale ct della nazionale brasiliana Carlos Dunga (nella stagione '87/'88) all'argentino Diego Simeone (due stagioni dal '90 al '92). Da ieri, tutto questo è soltanto un ricordo. Il presente, invece, non esiste più. Avellino, Pisa, Venezia, Treviso e Sambenettese non sono riuscite a iscriversi alla Lega Pro. Ieri scadeva il termine per il ricorso alla Covisoc che aveva bocciato in un primo momento gli incartamenti presentati dalle società. Si sono messe in regola in extremis Perugia, Pistoiese e Catanzaro, che probabilmente partiranno con alcuni punti di penalizzazione nei rispettivi campionati. Alle cinque realtà sparite non sono bastate, invece, le riunioni tra gli amministratori locali e i proprietari di club, le promesse dei politici in pieno periodo elettorale. Si riparte dai Dilettanti, dove per iscriversi basteranno poche centinaia di migliaia di euro, anche se ad Avellino i tifosi vorrebbero che questo non si verificasse, in modo che i gradoni del «Partenio» restino vuoti a testimoniare l'onta di chi ha cancellato 97 anni di storia. Se ne vanno cinque «piazze» importanti ed è l'ennesimo campanello d'allarme per un calcio che non sa più produrre utili e nel quale si allarga inesorabilmente la forbice tra i club ricchi e i poveri, ovvero tra chi può ricapitalizzare e chi no. Una retrocessione significa quasi sempre fallimento per società che mancano di programmazione, non crescono più talenti nel settore primavera e si affidano solo a comproprietà e prestiti. Un dramma che se tocca solo marginalmente la serie A, sta mettendo sempre più radici nella cadetteria, dove negli ultimi anni la presenza di squadroni come Juventus, Fiorentina, Genoa, Napoli, aveva mascherato una realtà fatta di stadi vuoti e diritti televisivi svenduti a pochi euro. Proprio quei diritti televisivi che sono stati la causa principale della frattura della Legacalcio, con le società di A da una parte e quelle di B dall'altra. Galliani ha detto che la cadetteria non sarà dimenticata, ma sono soprattutto i presidenti della seconda serie a doversi dare da fare, con gestioni più oculate e programmazione, per fare in modo che altre realtà importanti non seguano il destino delle cinque illustri scomparse.

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