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Koblet, il fascino dello straniero

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Fuil primo straniero vincitore del Giro. Fu il primo ciclista capace di richiamare folle di donne agli arrivi di tappa. Il giro fu quello del 1950. Il corridore, Hugo Koblet. Zurighese, bello come un Apollo. Alle fasi decisive di quella edizione della corsa venne a mancare Fausto Coppi, eliminato a metà strada, a Primolano, da una caduta che gli causò la frattura del bacino, una delle innumerevoli disavventure fisiche patite nella carriera. Toccò dunque soprattutto a Bartali tenere in piedi le sorti del ciclismo nazionale. Il vecchio Gino fece miracoli, ma lo svizzero che scalava le montagne con il sorriso sul volto, le mani sollevate dal manubrio, il pettine a portata di mano per rassettare i capelli prima d'esporsi al lampo dei fotografi, fu in ultima analisi inattaccabile. Al traguardo finale di Roma, sede scelta in coincidenza con la celebrazione dell'Anno Santo, con l'intera carovana del Giro in udienza da Papa Pio XII, cinque minuti divisero i due ciclisti. Terzo fu Alfredo Martini, futuro commissario tecnico delle nazionali, quarto un altro svizzero, Ferdy Kubler, un naso ancor più incisivo di quello appartenente a Bartali, estroverso, campione pari al connazionale, maglia gialla nella stessa stagione al traguardo finale del Tour a Parigi, campione mondiale l'anno successivo sul tracciato delle Tre Valli varesine. Koblet completò la presenza al Giro con due secondi posti, nel 1954 favorendo la vittoria del connazionale Carlo Clerici, l'anno prima cedendo poco più di un minuto a Coppi, salito trionfalmente sulle rampe dello Stelvio. Morrà a neanche quaranta anni, nel 1964. Non si escluse il suicidio: in una curva, la sua Alfa Romeo andò dritta come il rettilineo d'arrivo d'una pista d'atletica.

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