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Quella fantomatica superiorità del calcio inglese

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Finche ci si dedica a elogiare ammirati il gioco delle squadre inglesi, siamo nel campo della realtà e anche del dovuto, sportivamente parlando. Quando, trascinati dai gol, magari dall'esibizione di Chelsea e Liverpool (piuttosto che dall'espressione di gioco del Manchester United, rimasto in Champions solo per le paure di Mourinho) si dà seguito all'esaltazione di tutto ciò che è inglese per dire quanto sia povero e indegno il calcio italiano: allora si fa puro esercizio di esterofilia se non di stupidità. Ci si unisce al coretto di quei congiurati che su certi media londinesi pretendono anche di togliere a Roma la finale di Champions League perché la Capitale non sarebbe in grado di assicurarne il buon esito. Detto che è giusto che Uefa e Federcalcio si preoccupino di garantire la sicurezza del grande evento, sarebbe bene che si prendessero le distanze dagli encomi generalizzati e si valutassero, piuttosto, alcuni fatti concreti che negano la pompatissima supremazia dell'Inghilterra pallonara. Ad esempio, sarà bene studiare i precedenti di alcuni eventi calcistici internazionali con squadre inglesi per appurare come il pericolo hoolingans, allontanato dagli stadi, sia presente nei pressi dei medesimi con episodi di rara violenza. Come ad Atene nel 2007. Ci pensi, chi deve organizzare il servizio d'ordine: ai rischi ambientali si aggiungeranno quelli importati. L'anno scorso, a Mosca, ho vissuto in diretta lo scontro fra l'United e il Chelsea, notando come l'imponente servizio di sicurezza dei russi fosse favorito anche dalla matrice tutta inglese del confronto: nel vecchio stadio «Lenin» di Mosca li hanno facilmente separati e controllati, così nel trasferimento immediato all'aeroporto di Sheremetievo dove pure li attendevano torpedoni e aerei separati per rispedirli al mittente senza l'opportunità di una minima escursione turistica in città. Sbarcati con il biglietto della partita valido come visto sono stati repentinamente rimpatriati. Un successone. Perché, insomma, non sono gli inglesi che devono avere paura di Roma ma al contrario è Roma che deve temerli, rinunciando anche al piccolo contributo turistico che possono dare alcune migliaia di tifosi. Quando si tratta delle virtù del calcio inglese, sarebbe anche opportuno smetterla di tirare in ballo la sua superiorità organizzativa e finanziaria come qui si fa da oltre dieci anni. Fu proprio il Modello United a convincere la Roma a farsi società per azioni, e il danno è ancora presente; così come i massicci introiti televisivi imposero alla Premier League un passo da gigante. Il risultato? Se da noi si piange a Londra non si ride: il big-business ha fatto flop, i bilanci di Manchester United, Arsenal e Liveropool - ad esempio - risultano rossi come le loro gloriose maglie. E il Parlamento di Sua Maestà ha appena dovuto aprire un fascicolo con un titolo da noi zemanianamente ben noto: «Doping amministrativo nel calcio».

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