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Angelo Benedicto Sormani e ...

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Arrivato dal Brasile nel 1961, ha vestito le maglie di Mantova, Roma, Sampdoria, Milan, Fiorentina e Vicenza, guadagnandosi l'appellativo di «Pelè bianco» e conquistando sette convocazioni nella nazionale azzurra. Dal 1985 vive a Roma, dove collabora con la scuola calcio della Figc. Nipote di emigrati, lei ha conosciuto l'Italia da immigrato. «Un immigrato particolare. Non solo perché i miei nonni erano italiani e sin da piccolo a casa, dove si mangiavano pasta e polenta, ho imparato a masticare l'italiano, ma anche perché il calciatore è comunque un privilegiato». Nessuna difficoltà di integrazione? «All'inizio non fu semplice: conoscevo solo una persona che parlava portoghese e spesso non riuscivo a contattare i parenti in Brasile. L'accoglienza, però, è stata straordinaria. L'Italia è un Paese che rispetta lo straniero che sa meritarsi quel rispetto». Lei ha vestito anche la maglia azzurra. «L'ho fatto con orgoglio, perché mi sentivo italiano pur avendo vissuto in Brasile fino ai 20 anni. Dopo lo sfortunato mondiale del '62 fui l'unico oriundo confermato da Fabbri, ma in Russia mi infortunai e poi non fui richiamato. Ai mondiali inglesi del '66 avrei voluto esserci». Come vedrebbe Amauri e Ledesma in azzurro? «Al di là delle vicende dei singoli, mi lasciano scettico le scelte di chi opta per una nazionale come ripiego non essendo stato convocato in un'altra selezione». La questione delle naturalizzazioni si lega al richiamo della Fifa per una maggiore attenzione ai vivai. Come siamo messi in Italia? «Purtroppo i nostri vivai crescono sempre meno talenti. Ciò non giustifica però le esasperazioni, come la falsificazione di documenti ed età anagrafica degli stranieri. Una regolamentazione è necessaria». Mic. Cam.

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