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Dario Nicolini MILANO Un derby a ...

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E ovviamente anche la vetta della classifica, approfittando magari del ritmo lento della Juventus nelle ultime due gare per avvantaggiarsi ulteriormente sulle rivali. Per il Milan, come spiega lo stesso Ancelotti, perché la sfida di stasera al Meazza è «una grande opportunità per uscire definitivamente da un momento difficile. Questo derby - spiega - è più importante per noi che per l'Inter». Che per battere la squadra dello stimato rivale Mourinho ha in mente la strategia generale («Contro la fisicità e le qualità dell'Inter opporremo le nostre qualità»), abbinata agli uomini per svilupparla sul campo. Ne dice sette, li ha già in testa tutti. In difesa la scelta è quasi obbligata, le opzioni in attacco invece sono tante. La tentazione di schierare il trio Kakà-Ronaldinho-Pato continua a frullargli in testa. Ma le sue parole alla vigilia lasciano intendere che Ronaldinho «sta migliorando», sì, ma lo si potrebbe vedere solo a partita iniziata. Kakà è l'unico sicuro, Pato un'ulteriore incognita. Perché se è vero che il giovane brasiliano «non sente molto la vigilia del derby, forse per incoscienza: ma ha cominciato a giocare bene e con la sua velocità può mettere in difficoltà ogni difesa», Ancelotti sa anche che chi il derby lo sente eccome, leggi Sheva, è anche colui che ha segnato 14 volte ai cugini, il suo record personale contro una sola squadra in Italia. E allora il «rischio» Sheva dall'inizio si può correre. Contro la corazzata nerazzurra meglio non esagerare col «talento» puro: allora Flamini al posto di Seedorf potrebbe garantire maggiore copertura. Anche per Mourinho l'unico dubbio è l'attacco. Ibra non si discute, certo. Mancini nemmeno. Adriano, con una forma che gli permette anche di coprire, potrebbe averlo convinto definitivamente. Anche se lo Special One non lo dice. Al solito preferisce togliere pressione alla squadra polemizzando con tutti per aver mandato Baresi in conferenza. Anche per questo Ancelotti lo giudica «simpatico e intelligente». Nonostante dica che Beretta non ha personalità, visto che non l'ha criticato in faccia, che Ranieri ci ha messo cinque anni per dire good morning e non lo può quindi accusare di scarso rispetto per la comunicazione, e che «gli italiani non sono innamorati del calcio, vi interessate più delle piccole cose invece di quelle più importanti come ad esempio del fatto che il calcio italiano oggi non può essere paragonato alla Premier League o alla Liga». Il solito Mourinho, che sostiene di dover rispondere solo a Moratti. Sarà così anche per il risultato del derby. Non decisivo, ma determinante. Perché sta molto a cuore anche all'altro presidente.

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