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Che si sono persi i nostalgici dell'occidente...

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E così, parlando tra atleti, dirigenti e giornalisti italiani si scopre che il groppone tricolore, ben nutrito, circa un migliaio di persone, nascono due distinte categorie. Quelli che hanno visto Pechino, l'hanno vissuta, hanno cercato di capirla. E quelli che invece si ridurranno lunedì, dopo l'ultimo servizio sui Giochi, a un brevissimo tour lampo alla Città Proibita, rinviando l'acquisto dei souvenirs al free shop dell'aeroporto. Direte voi: bravi professionisti, invece di fare i turisti, hanno lavorato. Beh, diciamo che sembra così, ma non è vero. La questione è un'altra. E riguarda l'impatto che la Cina, Pechino e soprattutto i cinesi, provocano in molti occidentali, e gli italiani in particolare. Un impatto non proprio semplice. Della cucina abbiamo parlato subito. Già la divisione tra l'uso delle bacchette e della forchetta, ha amplificato abitudini. Per cui, la flotta degli «stakanovisti» scopri essere tale solo perché, all'interno del Centro Stampa del Villaggio Olimpico, c'è il ristorante mediterraneo aperto quasi 24 ore al giorno. Comodissimo con chi non è solito gustare la cucina della provincia dello Yunan, o avventurarsi nei sapori forti e speziati del sud ovest di questo enorme Paese. Bene, loro sono quelli del panino e delle patatine, della Coca Cola, elementi base che valgono come la coperta di Linus: fuori c'è un mondo sconosciuto, grigio per lo più, ostile quasi. Meglio restare dentro, dove solo gli accreditati possono stare. Dove ci sono altri come te, dove non c'è bisogno di impazzire per chiedere il nome di una strada e farlo capire al tassista di turno. E allora questo esercito resta. Chiuso dentro il centro stampa, dentro lo stadio, dentro gli impianti. E nell'hotel, la nostra seconda casa per tre settimane. Servizio in camera con la bistecca ben cotta e le solite patatine fritte che ti distruggono il fegato, ma ti rinfrancano lo spirito. Ma fuori c'è Pechino, ci sono i cinesi, c'è un mondo, si proprio un mondo, e loro che fanno? Si rintanano nei luoghi occidentali di questa città, facendo di conto su quanto manca per tornare a casa. Come se lavorare - dirigenti, giornalisti, fate voi - all'Olimpiade fosse una tortura. Li incontri e hanno la faccia distrutta. Si lamentano di tutto. Del clima, del fuso, della città - che non vedono mai - e di tutto quello che deve fare un grande dirigente o un grande inviato. Poi vedono che qualcuno gli racconta. Delle cene, dei musei, dei quartieri, della vita cinese, inconvenienti compresi, e la loro faccia cambia espressione. Un dubbio - solo tra i meno sciocchi - si insinua: e se avessi fatto male a starmene sempre seduto qua dentro? È solo un attimo, un battito di ciglia. Il loro occhio liquido, disfatto da notte insonni e supermangiate di merendine, biscotti, schifezze e tutto quanto fa Occidente rimediato qua, riprende quella tristezza serena: ma no, ma che vuoi che sia 'sta Cina e 'sta Pechino… Poveri loro, non sanno che occasione hanno avuto e che si sono lasciati scappare.

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