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L'ombra del doping su Pechino

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La nuotatrice Jessica Hardy, 21 anni, qualificatasi ai recenti trials di Omaha, in Nebraska, per disputare a Pechino i 50 metri stile libero e i 100 metri rana, è risultata positiva a un controllo antidoping. Non andrà ai Giochi, nonostante a Omaha nei 50 stile sia giunta seconda dietro alla formidabile Dara Torres e nei 100 rana detenga il record statunitense con 1'06"20. La conferma che la Hardy ha usato uno stimolante non consentito (di cui per ora non è stato rivelato il nome) getta ulteriori sospetti sulle prestazioni strabilianti di cui ai trials di Omaha sono stati protagonisti gli atleti americani, capaci di contendersi la partecipazione ai Giochi a suon di record mondiali. Da Michael Phelps a Aaron Peirsol, da Hayley McGregory a Natalie Coughlin, i campioni Usa hanno nuotato come nessuno al mondo aveva mai fatto nelle rispettive specialità. Prestazioni che sono finite sotto la lente di ingrandimento dei critici, e che hanno lasciato agli scettici il dubbio che qualcosa di poco chiaro si nasconda nella preparazione seguita da questi atleti. I tecnici si sono difesi dicendo che i nuovi tempi possono essere spiegati anche grazie ai nuovi costumi interi, che permettono ai nuotatori di scivolare in acqua come mai successo in passato, garantendo loro una "acquaticità" senza precedenti. Questo vale anche per Dara Torres, la campionessa-mamma californiana che a 41 anni vincendo i 50 stile di Omaha ha conquistato la partecipazione alla sua quinta olimpiade esattamente 24 anni dopo aver partecipato alla prima. Nel 1982, a Los Angeles, vinse infatti il suo primo oro olimpico nella staffetta 4x100m stile. Aveva 16 anni. In carriera ha conquistato in tutto e medaglie d'oro e 4 di bronzo. Poi ha smesso, ha fatto la giornalista e la modella, per poi decidere di fare una figlia, Tessa Grace, che oggi ha 2 anni. Dara Torres a 41 anni in vasca va più veloce di quando ne aveva 16. Ma - giura - è frutto solo di disciplina, volontà e passione. Il doping non c'entra. I rigorosissimi controlli a cui si è volontariamente sottoposta con regolarità fin dal marzo scorso le hanno dato ragione. Non così, invece, per Jessica Hardy.

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