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Mai dire Mallett

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Nick Mallett può rilassarsi per un attimo e parlare dei suoi primi 2 mesi alla guida dell'Italia. Cominciamo dalla fine. Al drop di Marcato perfino lei ha ceduto alla commozione. «Non mi era mai successo, nemmeno alla guida del Sudafrica. La gioia della gente del Flaminio mi ha emozionato davvero». Lei ha avuto la squadra solo una settimana prima del Sei Nazioni. Ora può stilare un primo bilancio. «Questo torneo ha portato molte cose buone. Per prima quella della scelta del capitano. Sergio Parisse ha disputato partite bellissime e si è rivelato un grande leader. Abbiamo lavorato bene insieme e si è stabilito un rapporto eccellente. Poi, a mio parere, abbiamo avuto uno dei Sei Nazioni migliori nella storia dell'Italia». Qui la cultura del risultato ancora domina le analisi. Gli Azzurri hanno vinto solo con la Scozia. «Tutti devono capire alcune cose. A parte il secondo tempo con il Galles, l'Italia è stata competitiva in tutte le partite perdendo con Irlanda (5 punti), Inghilterra (4 punti) e Francia (12 punti) con gli scarti più piccoli di sempre. Siamo partiti, dopo l'addio di Troncon, senza un 9 e un 10 attendibili. I mediani sono il cervello della squadra, senza è impossibile costruire gioco». Mallett si scalda, l'argomento lo appassiona. «Il problema è ampio e riguarda tutta l'organizzazione del rugby italiano. Se continueremo così, potremo sperare di vincere una partita ogni tanto all'ultimo minuto, niente di più. Abbiamo 50 milioni di abitanti, dobbiamo allargare la base». La soluzione potrebbe essere quella di formare delle selezioni? «Certo. Se non lo faremo non svilupperemo mai le enormi potenzialità di questo popolo nel rugby. A che serve mandare i club a rimediare sconfitte in Europa imbottite di stranieri trentenni ineleggibili per la nazionale? Ci vogliono due o tre selezioni ben allenate che partecipino a tornei competitivi in grado di migliorare i giocatori italiani, con tre o quattro buoni stranieri, magari eleggibili per l'azzurro dopo tre anni. Il Super10 non è un campionato in grado di migliorare i giocatori, basta guardare le partite. Ci sono al massimo due o tre fasi di gioco, poi l'arbitro fischia e interrompe il gioco. Così non cresce nessuno». L'ultimo pensiero è per i ragazzi. «Questo è un gruppo fantastico, li voglio ringraziare. Masi è un esempio, gli ho chiesto di giocare in un ruolo difficile e lo ha fatto senza riserve, fantastico. Con questo spirito faremo ancora tanta strada».

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