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L'Nba ora parla romano

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«Mai avuto paura di fallire, voglio crescere La Lazio? Che spettacolo quel 3-0 al derby»

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Così per parlare con Andrea Bargnani, il romano prima scelta dei Toronto Raptors, l'addetto stampa della franchigia canadese fissa un appuntamento telefonico al termine della seduta di tiro che precede l'impegno casalingo contro gli Atlanta Hawks. All'ora concordata il telefono squilla e dall'altra parte della cornetta ecco il Mago. Bargnani, come è andato l'ultimo allenamento? «Nulla di diverso, almeno in questo, da quello che si faceva in Italia. Tutto è concentrato sul tiro, sul ricordare le modifiche che abbiamo apportato ai nostri giochi. E poi studiamo il comportamento degli avversari per mettere in campo le giuste contromosse». Le titubanze delle prime apparizioni sembrano ormai messe da parte. Ma in quei primi difficili giorni ha mai dubitato di poter essere un giocatore da Nba? «Francamente no. Non è presunzione ma sicurezza nelle mie possibilità. Certo che all'inizio le cose non sono andate bene. C'è differenza nel modo di giocare, nel capire alcune regole. Ed io questo l'ho pagato con la panchina., Ma non mi sono mai scoraggiato». Convinto che sarebbe arrivato il suo momento. «Si. Ed è successo. Ed è giunta la prima partita in cui non ho commesso subito falli. Poi quella in cui ho cominciato a capire il tempo ed il modo per scegliere un tiro o una giocata in uno contro uno. Diciamo che ho rotto il ghiaccio. Ma so bene che c'è ancora tanto da lavorare». L'Europa ormai da anni è un serbatoio per la Lega professionistica americana. Ma l'Italia, dopo Rusconi ed Esposito, era rimasta tagliata fuori. Perché? «Non me lo so spiegare tanto bene. Da noi si gioca un buon basket e ci sono tanti giovani interessanti». Ha avvertito la responsabilità di essere chiamato con il numero 1 del draft? «Certo. L'attenzione si è concentrata su di me e capisco che ci sono aspettative. Ma forse più in Italia che qui negli Usa. Non avverto tantissima pressione. Mi stanno facendo crescere con il tempo giusto». A parte le differenze nel gioco, cosa l'ha colpita di più? «La grande organizzazione che ruota attorno a noi. Tutto è programmato nei minimi dettagli. Giochiamo sempre, ma questo non ci condiziona perché gli aerei su cui viaggiamo sono molto comodi. Certo il primo impatto con gli allenamenti è stato durissimo. Anche per uno come me che ha avuto un tecnico esigente come Messina. Pesi, atletica e poi sedute di tattica e di tecnica individuale lunghissime. E questa è solo la regular season. Sono curioso di capire cosa succederà per i playoff». Già, i playoff. Toronto ce la farà? «Penso e spero di si. Abbiamo recuperato Chris Bosh ed ora stiamo giocando bene. Sono fiducioso». A Roma un tempo i giovani giocatori sognavano di imitare Michael Jordan. Oggi vorrebbero tutti essere come Andrea Bargnani. «E' una bella responsabilità, ma la cosa mi gratifica. Sono orgoglioso di essere nato a Roma e del fatto che il Sindaco Veltroni mi abbia assegnato l'onorificenza di Ambasciatore della città nel mondo. Le mie radici sono lì». Cosa si sente di dire ai giovani che vorrebbero un giorno giocare come lei nella Nba? «Di crederci, in ogni momento. Anche dopo un allenamento andato male. Non bisogna mollare e puntare sempre in alto. Serve la cultura del lavoro. E su questa puntano molto qui negli Usa. Anche se c'è bisogno pure del talento. E quello è un dono innato». Ma per maturare è meglio lasciare giovani l'Italia per la Ncaa (il torneo universitario statunitense) oppure farsi le ossa in patria? «Il mio consiglio è quello di cercare di crescere in Italia. Io al primo anno alla Benetton non mettevo piede in campo. Ma mi allenavo con gente come Marconato, Garbajosa e Goree. Ho rubato con gli occhi a loro tutto quello che ho potuto e poi è arrivato il mio turno». Lo sa il risultato dell'ultimo derby della capitale? «Certo. 3-0 per la Lazio, la squadra per cui tifo. Una bella soddisfazione, anche se vissuta da questa parte del mondo».

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