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Parisse all'Italia

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«Avanti a testa alta»

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Perfettamente in linea con le ultime tendenze del rugby moderno che vuole giocatori universali. Verso la fine del match del «suo» Stade Francaise contro i gallesi degli Ospreys valevole per la Heinekhen Cup ha messo a segno un drop, un calcio di controbalzo in mezzo ai pali da 35 metri, assolutamente anomalo per un n.8! Piuttosto inusuale vedere una terza linea calciare con questa naturalezza, ha intenzione di riprovarci? «No, per i drop ci tengo troppo a mantenere la mia percentuale del 100%!». Pare evidente ormai che i giocatori debbano saper fare tutto... «Certamente. Oggi non è difficile vedere piloni che corrono in sostegno come terze linee, tre-quarti centro sempre più simili agli avanti dal punto di vista fisico e… terze linee che calciano in mezzo ai pali come mediani di apertura. Tutto questo rende il gioco più imprevedibile e divertente». Lo scorso anno ha giocato spesso da n.6, ma nasce terza-centro. Quale ruolo preferisce? «Io mi sento un n.8 naturale, anche fisicamente (196 cm. per 104 kg.) e sento di poter dare il massimo delle mie possibilità in questa posizione. Detto questo, è ovvio che alla fine gioco dove decidono i miei allenatori». A questo proposito, sta attraversando un periodo molto buono con i suoi coach. «In effetti mi trovo a meraviglia sia in azzurro con Berbizier che nello Stade Francaise con Fabien Galthiè. In questa stagione anche lui mi sta utilizzando con continuità da n.8 e per me è fondamentale per rendere automatici certi passaggi». Il gioco adottato da Galthiè la favorisce? «Amo molto il gioco che pratichiamo, fatto di grande dinamismo, cercando di evitare di andare a terra con l'ovale che va riciclato velocemente con molti off-load e sostegno continuo. La nostra è una squadra di molte individualità ma che ha anche un buon affiatamento». Con i fratelli Bergamasco e, da questa stagione Denis Dallan, costituite un vero e proprio gruppo all'interno dello spogliatoio parigino. Avvertite la responsabilità di rappresentare l'Italia? «Certamente. All'inizio non è stato facile, i francesi non fanno regali, ma oggi, pian piano, il rispetto per il nostro rugby sta crescendo molto». Quanto ha significato andare a giocare all'estero molto presto? «Tutto. Assumersi la responsabilità di andare fuori fa crescere sotto tutti gli aspetti, non solo tecnici. Io ho cominciato giovanissimo e in futuro non mi dispiacerebbe avere un 'esperienza in Inghilterra, dove si pratica un rugby che apprezzo molto. Oggi, però, ho un contratto con lo Stade che voglio onorare». La politica del presidente Guazzini, di origine italiana, vi vuole sempre in prima pagina... «Sì è vero, il presidente adotta misure che potrebbero risultare stravaganti, ma allo stadio abbiamo spesso 80.000 spettatori e vi assicuro che è splendido». Torniamo indietro. Lei è nato in Argentina da genitori italiani, come ha cominciato a giocare a rugby? «Sono nato a La Plata da padre aquilano, Sergio, che aveva giocato a rugby a buon livello ma da bambino mi ha fatto praticare molti sport tranne il suo. Poi un giorno gli chiesi quale disciplina aveva praticato e appena nominò il rugby capitò che lo volli fare anch'io, nonostante lui non volesse». Dopo l'adolescenza nell'Università di La Plata, il trasferimento a Treviso a soli 18 anni. «Resto innamorato di quella città anche se andai via dopo poco. A Parigi, dove vivo con la mia ragazza Rocio, sto bene ma non vi abiterei, un giorno tornerò». Cosa si aspetta dal match di oggi dell'Italia al Flaminio contro l'Australia? «Siamo qui per confermare i nostri progressi. Loro sono alle prese con diversi esperimenti per noi si può aprire uno spazio in più ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo di fronte una delle prime tre al mondo». Chi toglieresti al XV di Connoly? «Sono pieni di fuoriclasse ma io toglierei l'estremo Latham, giocatore dalla potenza devastante». Siete consapevoli dell'importanza della vostra prestazione per il movimento? «Tra noi parliamo spesso di queste cose, anche se devono morire nell

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