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Rabbia Di Canio, la Lazio non lo chiama

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Di Canio ha fermato il tempo, corre «veloce come un lampo» a dispetto della carta d'identità: la perla con l'Empoli, vanificata dal rocambolesco harakiri finale, cancella ogni alibi. Paolo il laziale ha ancora numeri da fenomeno (cinque gol, tre pali e quattro assist) e tenuta atletica da giocatore integro: vuole giocare un'altra stagione e vorrebbe farlo con la «sua» maglia ma il futuro è ancora un rebus. È uno dei pochi motivi d'orgoglio d'un popolo lacerato dai dubbi e dalle polemiche, minato dalla disaffezione verso il sistema. Giocatore e tifoso, ma l'equazione perfetta dice che nessuno è profeta in patria. Capita così che Di Canio, che ha tatuato la Lazio a pelle e vorrebbe chiudere la carriera in biancoceleste, si trovi in bilico. La società non ha lanciato segnali, se non un vago riferimento al 30 aprile come data-x, quella della verità. Il manager del giocatore smonta gli equivoci: «Non capisco questo discorso del tempo. Non c'è bisogno di parlare, Paolo prende meno di tutti e non c'è certamente bisogno del sottoscritto, né tantomeno di una trattativa. È una questione di rispetto, la Lazio lo vuole o no Paolo Di Canio? Lui ha dimostrato che tipo di giocatore è, Rossi ha rinnovato, perché si rimanda il discorso?». Interrogativi insoluti, che gettano ombre inquietanti sul futuro dell'idolo del popolo laziale. Anche perché la società, nel frattempo, ha chiamato al tavolo delle trattative gli altri svincolati Liverani (sempre più vicino alla Fiorentina), Dabo e Rossi ma non lui. Domenica, dopo il gol del 3-2, si racconta di esultanze tiepide in tribuna, mentre Paolo non nascondeva la rabbia: contro il tecnico, che l'aveva fatto scaldare per venti minuti sul tartan e gli aveva dato il via libera solo dopo il gol di Tavano. A lui, solitamente, succede di giocare solo cinque minuti della ripresa quando parte titolare: dopo c'è l'automatico cambio con Pandev, quasi programmato a tavolino. Quel gesto d'insofferenza però, anticipato anche dal lancio del fratino prima dell'ingresso in campo, poi si può leggere nell'altra ottica, quella relativa al rinnovo che non c'è. E al silenzio assordante della società, che pensa al vice Liverani (Ledesma, Almiron, Obodo e Guana tra le opzioni) ma tralascia il discorso relativo al suo futuro. Sembrava che il rinnovo dovesse arrivare prima di Natale, poi sono subentrati probabilmente fattori extracalcistici, che hanno congelato il discorso. Di Canio non ne parla ma in quella corsa sotto la sua Curva c'è tutta la rabbia per una situazione paradossale. L'Australia è pronta a coprirlo d'oro (5 milioni fino al 2008), lo vuole giocatore e poi allenatore: il 10 aprile tornerà l'imprenditore pronto a lusingarlo per strapparlo nuovamente all'Italia. In Inghilterra, oltre al Portsmouth e al Charlton, ci sono altre squadre potenzialmente interessate a consegnargli un ruolo da protagonista, come il Reading e lo Sheffield. Ieri Di Canio è intervenuto alla Voce della Nord, ricordando il piccolo Tommaso: «Per certi reati non dovrebbe esistere neanche la difesa d'ufficio. Non posso pensare che qualcuno provi pena per chi l'ha ucciso. Piangeva e anziché fargli una carezza.... Sono persone da abbandonare al loro destino». In mattinata si era allenato, nonostante la squadra beneficiasse di un giorno di un riposo: giovedì si discuterà alla Disciplinare il deferimento per le dichiarazione su Trefoloni e domenica, a Siena, sarà chiamato a far coppia con Rocchi. Salvo sorprese: nel senso che esiste una possibilità, seppur remota, che i giudici chiedano un turno di squalifica. Il numero nove sarà assistito da Gabriele Bordoni e da Felice Pulici, che tutelerà anche il club. È pronto a combattere Paolo, come sempre. Come difenderà fino all'ultimo minuto la sua voglia di Lazio. Contro tutto e tutti.

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