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di TIZIANO CARMELLINI DACOURT racconta la Roma.

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È proprio questo, secondo lui, il punto di forza di questa Roma. «Non ho mai visto un gruppo così unito, soprattutto fuori dal campo. Anche quando siamo stati secondi in classifica, non eravamo uniti come siamo ora». È tutta qui la chiave del successo giallorosso? «È la cosa sostanziale, poi c'è il lavoro: tanto e quello poi, inevitabilmente, porta i frutti». Dice che prima si lavorava meno? «No, si lavorava male, ogni cosa era una spaccatura e all'interno dello spogliatoio c'era tanti gruppi: separati». Ora invece? «È tutto diverso, forse perché questa è una squadra giovane, che ha voglia di stare insieme: anche fuori dal campo. Prima c'erano troppi nomi... ma solo quelli». Il capitano però è sempre lo stesso. «Sì, ma adesso Totti è un capitano vero, prima lo era solo in campo. Ora lui è il riferimento della squadra a trecentosessanta gradi, è maturato e si trasmette ai giovani le cose giuste: forse è stato il figlio a farlo crescere così». Dove può arrivare questa Roma così giovane? «Ovunque, ma purtroppo nel calcio a volte sono i dettagli a fare la differenza. A questo proposito bisogna dire che il vento è un po' girato e tutto ci riesce bene. Una volta invece ogni cosa che si faceva andava storta. A volte è anche questione di fortuna». Lei è l'unico titolare della Roma a non aver ancora segnato quest'anno. «Non è importante, va bene così. Non ne faccio un problema, poi se viene il gol, va meglio». La fortuna diceva... Domenica a Firenze nello scontro diretto servirà un po' anche quella. «Sono le partite che più mi piacciono, quando entrambe le squadre hanno qualcosa da giocarsi, quando danno tutto in campo. Abbiamo un obiettivo comune che una sola potrà raggiungere». E un punto le divide: troppo? «Può essere tanto o nulla. Io ci credo, possiamo andare a Firenze e batterli, questo è quello che la Roma deve fare per i suoi tifosi». Al Franchi di romanisti non ce ne saranno moltissimi: visto i biglietti che sono arrivati nella capitale. «Vero, la Fiorentina giocherà con lo stadio addosso, sarà una partita molto calda, ma noi adesso dobbiamo pensare solo all'obiettivo finale: restano da giocare sette finali». Chi toglierebbe ai viola domenica? «Fiore, mi è sempre piaciuto anche quando giocava nella Lazio». Che ruolo hanno avuto i tifosi nei suoi anni a Roma. «Qui tutto è amplificato. Una volta ho cercato di spiegarlo, ma sono stato frainteso e la gente forse allora non ha capito. Intendevo dire che a Roma c'è molto sentimento, la gente vive per la squadra. Ma tutto deve andare bene, perché quando sbagli ti lapidano: un giorno sei imperatore, il giorno dopo puoi essere insultato. È per questo che Roma è una piazza difficile, perché devi avere un carattere forte. Ma vincere qui è una sensazione unica, non si può spiegare». Quest'anno le è toccata un po' di panchina. «Ero arrabbiato con Spalletti, ma è una cosa normale, perché io vorrei sempre giocare. Ma ho cercato di non far vedere il mio rancore, di non trasmetterlo ai compagni e credo di esserci riuscito». Anche perché molti compagni, soprattutto i più giovani, hanno proprio in lei un punto di riferimento. «Mi fa piacere e cerco sempre di consigliarli. Nel calcio è una cosa normale, è successo anche a me quando ero più giovane». A Curci cosa ha consigliato? «Di lavorare sereno e di non prendere troppo sul serio le cose soprattutto quando vanno bene. perché poi, quando invece vanno male, diventa ancora più difficile reagire. Penso che Curci sia molto forte, ma ha solo bisogno di sbagliare come tutti noi abbiamo fatto alla sua età». Il suo futuro è ancora a Roma? «Restano da giocare sette finali, poi ne parliamo. Ora contano solo quelle: ci sarà tutto il tempo per discutere. Io comunque a Roma sto bene». E il futuro quello vero... dopo il calcio? «Mi piacerebbe tornare a casa, a Parigi e studiare per fare il direttore generale. È un po' quello per il quale ho studiato, perché ho frequentato Economia. Vorrei restare nel

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