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In trasferta i laziali diventano gamberi

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e nemmeno i suo collaboratori Di Mauro e Calcagno. Stavolta il presidente Lotito non deve aggiornare la contabilità dei punti finora sottratti dal destino, mentre chi vuole può attribuire ai promessi dollari della cordata-Chinaglia l'unica "suggestiva turbativa" in grado di penalizzare gli irriconoscibili ragazzi di Formello sul campo di Palermo. In realtà Delio Rossi non cerca scuse inconsistenti e teme semplicemente di allenare dei gamberi che quasi sempre in trasferta innestano la retromarcia. Tutto sbagliato, tutto da rifare, tutto cancellato in novanta minuti scellerati. Dove prevale indigesta la vendetta di Papadopulo, tecnico sottostimato e comunque capace di incantare ancora chiunque agli inizi del suo mandato con lo scalpo biancoceleste aggiunto a quello milanista ottenuto in coppa Italia. Memorabile trappola, forse quale risarcimento per i modi sbrigativi con cui l'avevano sfrattato dalla lazialità, dando ad intendere che fosse un allenatore limitato, un «catenacciaro» non adatto a guidare organici importanti. Poi erano seguiti otto mesi di silenzio prima del tre a uno dell'altra sera, risultato identico al suo festoso debutto nel derby capitolino, 6 gennaio 2005. Ora in silenzioso sgomento resta la Lazio, cui i blitz di Empoli e Treviso avevano dato l'illusione d'essere diventata affidabile pure fuori casa. Invece niente: s'è sfaldata a tempo di record, con un approccio svagato e un prosieguo senza nerbo per la gioia di Gonzales, Tedesco e Caracciolo. Cosa significa? Quale cura serve per debellare l'accidia che ogni tanto riappare coinvolgendo perfino un mostro sacro come Peruzzi, non proprio esente da colpe nel crollo della porta laziale, inviolata da 213 minuti? Motivi specifici si mescolano alla sensazione di tirare avanti penalizzati da un ambiente spaccato e nemico dell'attuale dirigenza, mentre il peso politico del club diminuisce a vista d'occhio, con ripercussioni sovente negative nelle valutazioni delle terne giudicanti. Ma rientrando da Palermo gli sconfitti non hanno con chi prendersela, salvo ammettere che la batosta è strameritata ed evidenzia in primo luogo il sopraggiungere di una pochezza offensiva. Che allontana l'auspicato traguardo europeo e quel sesto posto difeso dal Livorno con cinque lunghezze di vantaggio. Bisogna correre ai ripari, visto che non sono lontani i tempi in cui ci si ritrovava appaiati (o a sopravanzare!) alla Roma, davvero inesorabile nel suo procedere per accumulo con Totti unico terminale offensivo. Certo, la Roma è sospinta anche da decisioni favorevoli sugli episodi dubbi nelle aree avversarie (a Rieti, il Cagliari ha restituito quanto aveva tolto di recente ai laziali!) e da fluidi positivi. Però, senza invidia verso i giallorossi, è arrivato il momento di invocare un attaccante che sappia andare in doppia cifra, nonostante l'abnegazione di Rocchi e le fiammate intermittenti del quasi trentottenne Di Canio. Che c'è rimasto male non appena è stato sostituito da Tare, in quanto non presumeva di subire una disfatta così, causa l'allenatore esonerato un'estate fa anche con il suo benestare. Brutta figura! E meno male che non ci sono troppi giorni per tormentarsi sulla sesta sconfitta esterna, moralmente la più avvilente. Arriva la sfigata Udinese, che non sa più con chi prendersela e passa dai danni subiti per colpa di Dattilo agli harakiri notturni. Pare un derby fra compagini parsimoniose e destinate ormai a raccogliere in maniera inversamente proporzionale ai loro meriti. Cosmi è sull'orlo del licenziamento e la Lazio deve preparare l'anticipo serale all'Olimpico senza gli squalificati Behrami e Liverani e gli infortunati Dabo, Giallombardo e Cribari. Quanto basta per capire che si tratta di un febbraio delicatissimo, con Delio Rossi a giocarsi buona parte della reputazione per legittimare il contratto quinquennale che tra poco sottoscriverà per snidare, prima o poi, una Lazio rassicurante.

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