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Ranieri: «È finita l'era dei tecnici integralisti»

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E poi che vuol dire scomodo? Mazzone in un'intervista a «Il Tempo» ha detto che lui non riesce a capire come tecnici tipo lei e Zeman siano senza una squadra in Italia. Forse perché non vi fate fare le formazioni dai presidenti? Ma no! Io mi ritengo un allenatore che va avanti per la sua strada. E poi dall'Italia manco da otto campionati, mica da uno! A lei qualche dirigente ha mai imposto un calciatore in campo piuttosto che un altro? Nessuno ci hai mai provato. Forse perché non ho mai dato l'impressione che avrei accettato simili condizionamenti. Quest'anno in campionato abbiamo assistito ai casi Cassano, Iaquinta e Santoni, messi in «castigo» dai rispettivi presidenti. E sa com'è finita? Che i tre giocatori non sono scesi in campo. Tre casi di allenatori aziendalisti? Situazioni del genere accadono nell'arco di un campionato. Non voglio fare il paladino degli allenatori, tuttavia posso dire che quando è capitato a me ho risposto così: la società è libera di decidere se mettere fuori rosa o no un calciatore, ma se è a disposizione decido io. Chiaro, no? Lei che vive in Inghilterra può dirci se situazioni del genere si verificano pure oltre Manica? Qui è diverso. I presidenti delle squadre di calcio si vedono una o due volte l'anno. Non rilasciano interviste e non fanno pressioni né sulla stampa, né su tecnico e squadra. Non esiste la figura del direttore sportivo. Fa tutto l'allenatore che una volta ingaggiato deve occuparsi di tutto ciò che riguarda la squadra. Dai problemi dello spogliatoio, all'undici da mandare in campo, alla campagna acquisti. Un vero manager. Senza nessuna figura intermedia. In 4 anni al Chelsea Abramovich è comparso due-tre volte. È davvero un calcio diverso. Beh, a essere sinceri, le differenze sono sostanziali. Nette. Ad esempio ci sono meno veleni dovuti a moviole, movioline e moviolone. L'arbitro non è un personaggio e non lo diventerà mai. Nessuno sa o ricorda il nome del direttore di gara. Insomma c'è meno stress intorno al calcio. E a differenza dell'Italia gli stadi continuano a essere pieni. La partita allo stadio per gli inglesi è un rito. Ci si va con la famiglia. S'indossa la maglietta del club. Il prezzo del biglietto non è salato come da noi? Per il Chelsea si paga tanto. Per le altre squadre i prezzi sono più popolari. Tuttavia in Italia, oltre al costo del biglietto, sul calo di spettatori incide molto la novità del nome sul biglietto. Bisogna muoversi con un certo anticipo. In Inghilterra il tagliando non è nominativo. Esiste un servizio d'ordine differente. Con controlli e videocamere. Ora poi è stato debellato anche il fenomeno hooligans. Che partite ha visto di recente? Fulham-Liverpool. In Inghilterra ne ho viste diverse, a Londra dove vivo ce ne sono tante. In Italia solo Inter-Fiorentina e Lazio-Inter. Non le manca l'Italia. Sia da romano sia da allenatore? Ormai mi considero un europeo. In verità mi manca molto allenare una squadra, quello sì. Sono fermo dal marzo del 2004. Il calcio è la mia vita. Mi piace sentirmi sotto stress, mi piace organizzare tutta la giornata in funzione degli allenamenti, delle partite, delle coppe. Per quanto riguarda Roma è pur vero che sono nato a Testaccio ma va detto che sono andato via all'età di 22 anni. Ora ne ho 54. Tatticamente ha visto qualcosa di nuovo nel calcio italiano? Mi piace il fatto che molti allenatori adesso cambiano il modulo in corsa. A secondo dei giocatori in campo e dello sviluppo della gara. Ricordo che nel '97-'98 quando lo facevo io a Cagliari passavo per matto. Ma come? - mi dicevano - cambi il modulo? Io trasformavo in partita il 5-3-2 in 4-4-2. Del resto quello era il tempo degli allenatori integralisti. Partivano ed arrivavano con lo stesso modulo. Quando la rivedremo in panchina? Io sono un allenatore libero. Se mi offrono dei progetti validi sono pronto. Altrimenti no, li rifiuto. Come ho fatto recentemente. A Londra si vede con Eriksson? L'ho incontrato di recente. Ci siamo salutati molto cordialmente. Come sta Sven

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