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L'OSSERVATORIO

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Di questo passo, si raggiungerebbero a fine stagione 43 punti e qualche spicciolo, gli stessi che hanno consentito la permanenza in Serie A. E che cosa volete che siano il prestigio, la storia recente, la tradizione? Se non dettagli insignificanti, perfino quando gli obiettivi di partenza si annunciano ambiziosi, un posto in Champions League, qualche coppetta collaterale, le voci più ottimistiche volte a far posto a mire perfino più audaci, un capitano che parla di scudetto, forse non mettersi a piangere. Quando si perdono due partite di seguito contro formazioni da collocare nella fascia meno illustre del campionato, sempre in superiorità numerica, allora il panorama rischia perfino di far rimpiangere tutte le disavventure della stagione precedente: ritenuta, finora, un irripetibile incidente di percorso provocato dai guai a catena: economici, tecnici, umani. In un anno l'ammiraglia giallorossa, paludata dai simboli di nobiltà che i suoi nomi illustri sembravano garantire, ma scricchiolante nelle strutture, ha cambiato per cinque volte il timone del comando, senza mai trovare chi potesse assicurarle una meno tempestosa rotta. Si è partiti, entusiasti, con Cesare Prandelli: allontanato da Roma da comprensibili priorità di affetti familiari, ma forse anche dalla sensibilità di avere captato in tempo le falle nello scafo. Poi si sono susseguite decisioni che è arduo definire, se più superficiali o più clamorosamente sballate: fino ad addossare pesanti responsabilità sulle spalle di due campioni amatissimi dalla tifoseria, ma alla loro prima esperienza assoluta su una panchina di alto livello, prima Rudi Voeller e poi Bruno Conti. Con la parentesi di Gigi Del Neri, un ripiego forse non voluto e frettolosamente rinnegato: allontanato senza dargli la possibilità di raggiungere il traguardo di una salvezza non sofferta, che il tecnico friulano avrebbe sicuramente raggiunto. Ora è la volta di Luciano Spalletti, le cui qualità tecniche ma anche psicologiche sono per ora vanificate da un organico che ha fatto della supponenza e dell'autocelebrazione la propria bandiera, facendo rivivere gli stessi incubi di quel finale di campionato che avrebbe dovuto rappresentare soltanto un ricordo sfumato. Se Spalletti, trascinato dalla calma piatta di Udine alle burrasche del Tevere in piena, arriva a dire che i suoi non si allenano come professionalità dovrebbe imporre. allora l'allarme rosso scattato in questo avvio è del tutto giustificato. Non riesco neanche a delineare i progetti settimanali di questa squadra, chiamata ad affrontare lo scontro cittadino contro una rivale gratificata dai risultati ma anche dalla sua onesta convinzione. perché prima la trasferta in Norvegia imporrà problemi logistici che andranno ad appesantire i dubbi sulla condizione atletica, mai così deficitaria come ad Empoli. Invece di sciacquarsi la bocca con i capricci di Cassano, sarebbe meglio se la società lanciasse qualche segnale importante. Se non altro per far sapere che le stanze dei bottoni, a Trigoria, non sono rimaste deserte: dopo che Franco Sensi non ha potuto garantire presenza assidua e che Franco Baldini ne è stato allontanato.

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