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di FULVIO STINCHELLI PARIGI — Acqua, vento a raffiche, spruzzatine di grandine, poi, a tratti, un sorriso di sole.

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Una volta, si diceva «la domenica dell'Arco», adesso i nuovi tempi impongono che si parli di Arc Day. Va bene, comunque lo si chiami, questo gran giorno, è la grande festa di Parigi, dalla pelouse ai recinti privilegiati di Longchamp. Da noi si pensa in tutt'altro modo. Oggi, nei maggiori ippodromi italiani, si sciopera: dopo il calcio, è il nostro sport preferito. Per fortuna, il talento sopravvive presso i nostri allevatori. Gli inglesi, inventori del purosangue, lo sanno e «ci sformano». È per questo che ad ogni edizione dell'Arc si fanno in quattro per vincerlo. Anzi, ultimamente si sono fatti in 230 per aggiudicarselo. Duecentotrenta sono infatti i membri del Royal Ascot Racing Club, di recente costituzione, ma di sorprendente immediata fortuna. Pensate, con novemila sterline tra quota associativa e quota annuale si sono assicurati alle aste di Newmarket (75mila ghinee, una miseria!), un puledro di nome Motivator che ha subito vinto il Derby di Epsom. Come dire, il padre di tutti i derbies. Eccitati dal successo, i soci del R.A.R.C. si sono traferiti in massa a Longchamp. Sperano, tra una bevuta e l'altra, che Motivator ci rifaccia. Capirete, con un milione e 800mila euro sul palo, sarebbe un bel dividere. Anche in 230. Ma l'impresa si annuncia ostica. Quindici i partenti, tra i quali sfolgorano Hurricane Run, allenato da André Fabre, Shawanda, la mirabile puledra di Karim Aga Khan, e il sempre temibile Bago, vincitore lo scorso anno. Eppoi, c'è Scorpion. Come dimenticare il recente vincitore del Grand Prix de Paris? Vero che Hurricane Run ha vinto il derby irlandese e che Motivator s'è assicurato quello inglese, però, pesano le controperformance, come le due sconfitte patite da Motivator ad opera di un tal Oratorio. Insomma, è una partita incerta.

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