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di AUGUSTO FRASCA LA mistificazione era totale.

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Mistificazione di cui fu vittima per trent'anni anche lo sport. Doping di Stato, superiore a quanto praticato in altri paesi dell'Est, con l'aggravante del coinvolgimento di uno stuolo sconfinato di uomini di scienza dediti alla ricerca di ogni artificio che consentisse di raggiungere due obiettivi. Il primo, gonfiare muscoli e vulnerare sangue degli atleti al fine di modificare «scientificamente» le loro prestazioni. Il secondo, più subdolo, costruire l'artificio in modo da sottrarlo a qualsiasi controllo antidoping. Tutto ciò, per trenta anni. Ed il laboratorio di Lipsia, centro delle ricerche dei nuovi Frankenstein, è stato per altrettanto tempo inviolabile come un gulag. Ieri, da Berlino, una notizia che è a metà strada tra il riconoscimento morale e la resipiscenza giuridica: il ministero degli Interni ha deciso di indennizzare 194 atleti della ex Ddr, riconoscendoli vittime del doping di Stato. La cifra è poco più che simbolica, diecimila euro a testa. Ma è un segnale. Che va sottolineato.

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