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Quanti rimpianti per la gestione ribelle di Franco Sensi

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Colpi, poi? Soltanto a leggere i frettolosi titoli di giornali pronti a qualificare come autentici affari trasferimenti da quattro soldi e più spesso gli eterni baratti di un cane da un milione con due gatti da mezzo milione. Non vi son stati botti, è stato l'annuncio di chiusura: una delusione doppia, perché a parlare di botti, nei tempi che il mondo sta vivendo, è decisamente sgradevole: del resto in linea con le cose del calcio, malamente gestite e velate di ipocrisia, ultimo illuminante esempio di benservito forzato al miglior arbitro del pianeta. Unica consolazione per l'Italia, per altro, in campo internazionale, visto che la graduatoria della Fifa colloca la nostra Nazionale in tredicesima posizione, con qualche disagio al momento della formazione dei gironi mondiali, sempre che ci si arrivi come tutto lascia presumere. Anche in questo caso, sono ridicole le lamentele dei nostri capoccioni, nel senso di vertici del potere: con ben più largo anticipo si sarebbe dovuto richiedere, e ottenere, una radicale modifica dei parametri che dettano le graduatorie alla vigilia di un grande evento, ma nessuno è stato sfiorato dall'idea, neanche tanto geniale. Nulla di eclatante, dunque, soprattutto per quello che riguarda l'interrogativo più ricorrente, legato al destino di Antonio Cassano, ma nessuno si illuda di una possibile parola fine al romanzetto di appendice votato a occupare anche gli spazi autunnali dell'informazione, nella speranza che l'avvio del nuovo anno porti qualche novità meno labile delle stucchevoli chiacchiere sofferte per mesi e mesi. È fin troppo facile intuire come né la Roma né il giovanotto barese abbiano interesse a perpetuare un tiro alla fine che si tradurrebbe in un pesante danno economico per la società e per una grave perdita di immagine per il giocatore, ai margini di Trigoria e dunque anche ai margini dell'avventura mondiale dell'Italia. Ma, più allarmanti della vicenda Cassano, le ultime ore di mercato hanno portato in primo piano i malumori di Amantino Mancini: di fronte alla ventilata partenza del quale, in estate, soltanto una piccola parte del tifo romanista aveva speso parole di sdegno o di rimpianto. Prima che arrivasse Spalletti a manifestargli la sua stima incondizionata, Mancini si è sentito trascurato in casa e per altro bloccato dal pluriennale contratto appena sottoscritto. Poi sono intervenute sirene subdole, una prospettiva di guadagnare il doppio o il triplo salendo alla corte di Capello: comprensibile che, come tutti i bimbi viziati che pascolano nel giardino d'infanzia del nostro campionato, Mancini fosse deciso ad andarsene. Ma più grave è che la società probabilmente lo avrebbe accontentato, per incassare danaro fresco in presenza di qualche possibile impaccio di bilancio. Ma Luciano Spalletti non è personaggio che si lasci prendere per i fondelli: ha minacciato di rivoltare sottosopra Trigoria, se Mancini fosse partito, tutto è rientrato. E Moggi ha potuto esternare il suo amore per la Roma alla quale non farebbe mai uno sgarbo, che poi magari le offerte a Mancini fossero partite dalla Gea è un altro discorso. Che cosa ha a che fare la Gea con Lucianone juventino? In questi momenti, tanti rimpianti desta, in chi ama il giallorosso, la vecchia Roma ribelle e battagliera di Sensi e Baldini, poco a che vedere con l'ossequio attuale al potere costituito.

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