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Storie di campioni dati per finiti ma che di mollare non hanno nessuna intenzione

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Con questo slogan è stata lanciata la partita tra le selezioni Johnson XV e Lomu XV che sabato scorso, sull'erba di Twickenam, ha sancito l'addio al rugby agonistico da parte del grande Martin Johnson ma, soprattutto, il ritorno in campo di Jonah Lomu dopo la devastante malattia che lo aveva costretto al ritiro forzato. Il risultato (33 - 29 per il team di Johnson al termine) era la cosa meno importante di un evento nel quale si sono incrociati i destini di due grandi campioni che hanno segnato, ciascuno a loro modo, un'era del rugby moderno. Per salutare Martin Johnson 50000 persone sono accorse a Twickenam, dove tante volte ha guidato da capitano alla vittoria i bianchi d'Inghilterra, in capo ad una carriera di prestigio mondiale. Vincitore della Coppa del Mondo nel 2003, vincitore con i suoi Leinster Tigers di due Heineken Cup e di vari titoli inglesi, l'unico uomo al mondo ad aver guidato due tour dei British Lions nell'emisfero australe da capitano ha risposto alla standing ovation lunga dieci minuti alla sua maniera, senza sorridere, con la faccia segnata dalle cicatrici di decine di battaglie. Uno dei più feroci agonisti che il rugby mondiale ha conosciuto nella sua storia centenaria ha stretto la mano a ciascuno dei campioni venuti a giocare il suo passo di addio ed ha lasciato la scena al ritorno di Lomu, come i valori di questa disciplina - per fortuna sopravvissuti all'avvento del professionismo - imponevano. La partita di Lomu è durata solo un tempo, il primo. Poi ha dovuto lasciare il campo a causa di una botta alla spalla rimediata placcando il francese Chabal, ma quello che si è visto ha riscaldato i cuori di chi ama questo sport e la vita. È bastato vederlo correre una volta con l'ovale in mano per 20 metri, tuffarsi in un paio di placcaggi, marcare addirittura una meta per capire che Lomu è tornato alla vita, e per incitarlo a non mollare. Colpito da una rarissima forma di nefrite all'apice di una carriera folgorante che lo ha visto esordire con la Nuova Zelanda a soli 19 anni, il fenomeno che ha interessato al rugby milioni di neofiti ha lottato duramente per tre anni passando attraverso la dialisi giornaliera e facendosi trapiantare un rene con un unico obiettivo in testa: tornare a giocare e guadagnarsi la convocazione con gli All Blacks per i mondiali del 2007 che si terranno in Francia. Sabato scorso ha scalato la prima vetta di un'ascesa durissima. Nessuno oggi può dire se ci riuscirà, la forma fisica è lontana da quella ideale - negli ultimi mesi allenandosi tre volte al giorno è sceso da 150 a 122 chili!-, ma tutti devono amare la battaglia che questo guerriero delle isole sta combattendo, perché le sue vittorie saranno le vittorie di tutti. Addio capitano, bentornato Jonah.

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