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Roma da corsa ma senza ricambi in panchina

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Cioè non il primo giorno di febbraio, bensì l'ultimo di gennaio, il mese storicamente maledetto, passato addirittura alla leggenda quando alla guida della Roma c'era Zdenek Zeman, che quel mese non avrebbe mai voluto viverlo. Ma insomma, sarebbe eccessivo affidarsi ai ricorsi stagionali per spiegare l'autentico crollo in verticale della squadra che aveva dominato il girone di andata e che, secondo molti osservatori, avrebbe potuto perfino uccidere il campionato. Intendiamoci: la Roma ha collezionato, nelle prime 17 giornate, qualcosa come 42 punti: mica pochi, se nell'anno dell'ultimo scudetto ne erano stati raccolti 39. Ne sarebbero bastati 36, nella seconda parte del campionato, per vincere il tricolore con una classifica da record da quando i punti per la vittoria sono diventati tre. Ma non sono i numeri che preoccupano, anche se il Milan ha imposto, in questo momento, ritmi proibitivi per chiunque, staccando di cinque punti le dirette rivali, con la Juventus in sofferenza di fronte al Chievo ma comunque in grado di affiancare la Roma al secondo posto. Non è stata la sconfitta di Brescia ad aprire gli inevitabili processi che puntualmente fanno seguito a un trionfalismo francamente eccessivo. Le ultime partite, compresa quella vinta con disagi pari alla buona sorte sulla Sampdoria, avevano presentato soltanto una pallida immagine della squadra che aveva massacrato gli avversari di turno dall'alto di un gioco spettacolare, di geniali soluzioni in attacco, di una difesa che resta tuttora, con quella del Milan, la meno battuta d'Italia. Appena nove reti incassate, contro le ventuno della Juventus, che ha segnato magari cinque gol in più rispetto ai giallorossi e allo stesso Milan in fuga isolata. Il calo atletico, avvertito in più di una occasione, a cominciare dall'infelice scontro diretto dell'Epifania con il Milan, va indubbiamente sottolineato. Ma penso che il vero problema, considerata che non tanto il fondo è mancato, quanto invece la brillantezza che regala velocità di esecuzione, sia rappresentato dal progressivo sgretolamento della panchina romanista; che a cominciato a perdere pezzi importanti come Montella, che non ha potuto contare su un'accettabile condizione fisica dei vari Delvecchio e Candela. Stiamo parlando non di pizza e fichi, ma di tre protagonisti dello scudetto più recente, quello conquistato nell'estate del 2001, e anche della stagione successiva, chiusa al secondo posto con la miseria di un punticino di vantaggio ma con una tonnellata di rimpianti per le tante occasioni perdute, specialmente in qualche partita da pronostico a senso unico. La Roma ha cominciato alla grande, mettendo accanto a giocatori collaudati ai massimi livelli qualche presenza nuova, dall'atteso Chivu alla sbalorditivo Mancini, ma anche resuscitando vecchioni come Lima, ritenuto di seconda fila. Tutti hanno dato il massimo, in quell'avvio folgorante, confortati anche dalla certezza di avere alle spalle possibili sostituti ricchi di qualità ed esperienza. Quando è giunto il momento di tirare un po' il fiato, come era prevedibile, dalla panchina non è arrivato un aiuto sostanzioso, almeno non nella misura in cui il tecnico avrebbe potuto aspettarsi. Molto hanno inciso i guai fisici, molto anche i problemi psicologici, ai quali è facile far risalire la crisi di un campione come Vincent Candela. Nel momento di far ricorso alle seconde linee, Capello si è ritrovato nudo: obbligato a chiedere qualcosa in più a primattori bravissimi ma spremuti. Tutto questo, mentre all'Olimpico è in arrivo una Juventus che forse non abbaglia ma che raramente concede sconti, soprattutto nelle occasioni importanti. C'è da ritrovare quell'orgoglio che in altri tempi ha consentito di superare (come non ricordare Parma-Roma e il doppio capolavoro di Batistuta?) momenti difficili. La Roma resta in corsa, con autorità: il pericolo è di dover soffrire una pressione eccess

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