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Tredici anni fa scompariva il grande Viola

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Questo è Francesco Totti, simbolo della Roma che vola oltre ogni aspettativa, la Roma che in altri tempi avrebbe ipotecato il titolo e che invece sente sul collo il fiato di rivali altrettanto sontuose. La sua dedica alla memoria di Dino Viola, scomparso il 19 gennaio di tredici anni fa, è testimonianza di uno spessore umano che dovrebbe indurre la rossore le mezze calzette propense a ironizzare sui limiti di personalità del capitano romanista. Totti sa bene, e i tifosi non hanno mai dimenticato, che Viola ha segnato una svolta storica nella vita della società. Aveva limitate disponibilità economiche in relazione alle grandi potenze del calcio mondiale, ma era dotato di eccezionale senso politico. Aveva capito che il Palazzo non andava subito: sfidato, invece, e colpito nei suoi punti deboli. La Roma di Viola, vista come un'intrusa dai tradizionali padroni del vapore, fu vessata secondo consuetudini (i centimetri sulla posizione di Turone), ma presto il Palazzo fu costretto a prendere atto di una nuova realtà, perché qualcuno era stato capace di impadronirsi dei suoi meno onorevoli segreti, creandosi a sua volta una posizione di forza. Non a caso, Viola ottenne successi di peso politico rilevante, nonostante le regole gli dessero torto: esemplari il tesseramento di Cerezo e poi il placet per Eriksson in panchina. Segno che la Roma, per la prima volta, aveva un suo peso politico importante, guadagnato non esclusivamente con la conquista del suo secondo scudetto. C'è voluto un lasso di tempo, dopo il triste addio a Dino Viola, perché la Roma trovasse un altro interprete dei suoi diritti così convinto e così coraggioso nell'instadire il ricostituito potere del Nord con le battaglie destinate comunque a lasciare il segno. I ricordi, gloriosi, si agganciano a un futuro che altrettanto prodigo di sorrisi si annuncia, pur con tutte le incognite che il lungo girone di ritorno propone. Gli interrogativi riguardano soprattutto l'anomalo ritmo tenuto dai tre pacemakers tra i quali si giocherà la partita dello scudetto, a meno di altrettanti anomali cedimenti al momento non ipotizzabili. La Roma ha cancellato ogni record precedente, al giro di boa che il Milan deve per altro ancora completare, avendo nel mirino lo stesso primato di punti. Ma non spiega tutto il passo imperioso delle protagoniste se è vero, come è vero, che le ultime quattro della classifica hanno messo insieme, fra tutti, lo stesso bottino di Juventus e Milan e addirittura tre punti in meno rispetto alla capolista. Due campionati in uno, insomma, anche se in molte occasioni le ultime della classe qualche apprensione alle prime l'hanno provocata, confermando che nel nostro campionato non c'è quasi nulla di gratuito. Parlavamo dei pericoli della seconda fase, individuabili soprattutto nelle scarse possibilità che le squadre in fuga, e dunque anche la Roma, possano tenere l'infernale ritmo fin qui imposto. Un po' come se la prima metà di una gara di atletica sui cinquemila metri fosse stata percorsa in cinque minuti. Finirà con l'avere la meglio la squadra che sarà in grado di gestire nel modo più idoneo l'inevitabile fase di flessione che il campionato dovrà in qualche modo imporre, a meno di non ipotizzare un arrivo, in solitario o in volate, a livelli che mai nessuno avrebbe osato ipotizzare. La Juventus vive al suo momento migliore tra gennaio e marzo, il periodo nel quale nella stagione scorsa ha costruito la fuga decisiva per rendere privo di palpiti il finale. Il Milan ha dimostrato di avere sapienza tattica e interpreti di grande personalità, capaci di sfruttare con praticità vicina al cinismo i momenti importanti. La Roma è stata a lungo la più entusiasmante sul piano del gioco, ha legittimato il suo primato con i numeri di una difesa mai in passato così solida e con i lampi di genio delle sue bocche da fuoco. A marzo interverrà l'ulteriore «disturbo» delle coppe europee, stavolta senza alcun privilegio per chi gioca in C

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