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Fidejussioni, altre società nel mirino

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Una vera e propria matassa sportivo-giudiziaria che stanno cercando di sciogliere da una settimana gli inquirenti romani. Un intrigo calcistico che coinvolge quattro società che giocano dalla serie A alla C1. Ma sarebbero solo le prime a dover fare i conti con la giustizia. I magistrati della procura di Roma sono infatti intenzionati a puntare il dito anche contro altre società sportive, vogliono continuare a «scavare» per verificare se esistono o meno irregolarità nella gestione di altre squadre. Tutte le persone coinvolte fino ad ora, a vario titolo, si considerano parti offese nelle indagini oppure ignare dell'esistenza di presunti raggiri messi in atto per far giocare nei cento metri «verdi» la Roma, il Napoli, il Cosenza e la Spal. Ed ecco perché ieri pomeriggio i carabinieri del Reparto Operativo di Roma hanno portato avanti interrogatori fiume negli uffici di via In Selci. Il primo a sedersi davanti al maggiore Attilio Auricchio è stato Luca Rigone, il broker assicurativo marchigiano che si occupa delle società di calcio di serie C. In compagnia dei suoi legali, gli avvocati Calogero Caruso e Francesco Frateani, il testimone si è presentato alle 13,10 e ha lasciato alle 18,30 la stanza dell'interrogatorio passando da un'uscita secondaria per evitare di rispondere alle domande dei cronisti. Prima però che Rigone facesse perdere le sue tracce, in via In Selci è arrivato anche Giovanni De Vita, il commercialista napoletano di 33 anni, ex amministratore delegato dell'Ancona, e uomo che ha gestito per conto del Napoli l'operazione fidejussioni. E che inoltre sarebbe stato in contatto con Amedeo Santoro, l'uomo d'affari partenopeo indicato come la mente di tutta l'operazione, che per ora non avrebbe preso alcun contatto con gli inquirenti. «Lui sì che ha tante cose da chiarire», il commento che trapela dagli uffici giudiziari. Entrambi comunque, secondo quanto riferito dagli stessi, sono stati ascoltati dagli investigatori come persone informate sui fatti. Mentre i militari interrogavano i due testimoni, i magistrati titolari dell'inchiesta, il procuratore aggiunto Ettore Torri e il pubblico ministero Maria Cristina Palaia, nel palazzo di Giustizia di piazzale Clodio esaminavano la documentazione acquisita nei giorni scorsi dagli investigatori. Tra questa ci sono anche le carte che fanno riferimento agli ultimi cinque anni di attività della Covisoc. E il primo convincimento della magistratura è che la Sbc, nella persona del suo amministratore unico Franco Jommi, interrogato due giorni fa, sarebbe estranea alla vicenda delle false fidejussioni. Non solo. È stata considerata «attendibile» anche la deposizione rilasciata da Cynthia Ruia, ex amministratrice della Sbc, la cui firma, presumibilmente falsificata, è stata trovata sui documenti «incriminati». La donna fin dal primo giorno ha sempre negato di aver firmato quelle polizze fidejussorie poiché alla fine dello scorso aprile si era dimessa dalla carica di amministratore delegato della società finanziaria. E ora toccherà alla procura, al termine del primo giro di interrogatori, ipotizzare i reati nel fascicolo processuale, probabilmente falso in atto privato e truffa, accuse che dovrà contestare a chi sarà considerato responsabile dello scandalo delle fasulle fidejussioni. «Non abbiamo alcun elemento per ritenere che Jommi e Ruia non ci abbiano raccontato la verità - hanno affermato gli investigatori - quello che hanno riferito ha una sua logica». Nel mirino dei magistrati ci sarebbero dunque gli intermediari, le persone che si sarebbero date «da fare» per potersi mettere in tasca migliaia di euro di commissioni. «I due incontri ci hanno permesso di approfondire punti di vista e ruoli delle persone ascoltate come informate dei fatti e che quindi sono state sentite senza l'assistenza degli avvocati», ha spiegato un militare di via In Selci. E ancora: «Perché nessuno ha querelato Baldini? Se mi desser

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