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di RINO TOMMASI A vedere i quotidiani sportivi e le pagine sportive di tutti gli altri giornali ...

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Ebbene - purtroppo - è proprio così. Il purtroppo è una mia personalissima ed irrilevante considerazione perché è evidente che se i direttori ed i responsabili dei servizi sportivi hanno scelto, per la verità con toni e dimensioni diverse, questa strada, essi rispondono al desiderio, al gusto ed alla curiosità dei loro lettori. Sarebbe tuttavia divertente fare una raccolta dei titoli sparati negli ultimi mesi a nove colonne e confrontarli con il bilancio finale della campagna acquisti per verificare quante notizie, date per certe si siano rivelate alla fine infondate. Non ha importanza, conta soltanto mantenere il tifoso sulla corda, illuderlo ed allarmarlo, chiamarlo ogni giorno all'edicola. Solo il caso Catania, sul quale non mi voglio più ripetere, soprattutto ora che pare sia destinato a concludersi nel modo peggiore (hanno sbagliato tutti), è riuscito a fare concorrenza al mercato. In questo scenario è inevitabile che alcune discipline sportive abbiano pagato dazio. Ha sofferto il torneo di Wimbledon, dove non hanno mandato l'inviato due dei tre quotidiani sportivi e ed altri giornali importanti (il Messaggero, La Stampa) ed un'attenzione minore rispetto al passato sta ottenendo il Tour de France. A questo proposito noto che il ciclismo ha accentuato una specializzazione che è sempre esistita (mi riferisco a quella del velocista) ma che è diventata ancor più importante. Oltre la metà delle tappe del Giro e del Tour si concludono in volata e poiché è più importante vincere una tappa piuttosto che migliorare di qualche posto la classifica generale (a meno che non si tratti della maglia, rosa o gialla che sia) ecco alcuni specialisti si disinteressano completamente della loro posizione e si impegnano unicamente quando il percorso rende probabile un arrivo in gruppo. In questi giorni Alessandro Petacchi era meritatamente diventato il più popolare ciclista italiano al punto di far quasi dimenticare l'ingiustizia dell'esclusione di Cipollini, il campione del mondo. Tuttavia, ancor prima di riceve la notizia del suo ritiro, andavi a guardare la classifica generale e trovavi Petacchi all'81° posto, undicesimo tra gli italiani. È chiaro che per vincere le volate ci vogliono qualità e coraggio ma l'idea di un grande campione che rinuncia, per calcolo e per convenienza, a vincere o comunque a ben figurare in alcune tappe per risparmiarsi per quelle più adatte a lui, non mi entusiasma. Mi viene anche l'idea che la decisione degli organizzatori del Tour di lasciare a casa Cipollini sia stata la risposta ad un modo di interpretare il ciclismo che non va molto d'accordo con la tradizione di una corsa, come il Tour de France, che ha sempre esaltato qualità diverse da quelle di un velocista puro. Sembrano (e sono) lontani i tempi in cui dal Tour giungevano gli echi delle imprese di Bottecchia, Coppi, Bartali, Nencini, Gimondi, Moser e - sissignori - anche di Pantani. Forse non è vero che una vittoria di Bartali al Tour evitò in Italia il pericolo di una guerra civile nel 1948, ma quel ciclismo, fatta salva la stima e l'ammirazione per Cipollini e Petacchi, mi piaceva di più.

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