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Coronavirus, l'anestesista rianimatore Luciano Gattinoni non ha dubbi: solo così caleranno i contagi

Luciano Gattinoni, professore emerito dell'Università di Göttingen, in Germania, è uno dei più grandi esperti in anestesia e rianimazione

Massimiliano Lenzi
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I numeri italiani, impressionanti, soprattutto in Lombardia, per la mortalità da coronavirus. Il caso tedesco, con una mortalità dello zero virgola. E poi il tema della ospedalizzazione dei pazienti e il grande enigma: per quanto ancora dovremo fare i conti con il coronavirus? Queste domande le abbiamo rivolte a Luciano Gattinoni, professore emerito dell'Università di Göttingen, in Germania, uno dei più grandi esperti in anestesia e rianimazione. Professor Gattinoni, guardando i dati statistici del coronavirus colpisce la differenza di mortalità tra Italia e Germania. In Germania la mortalità è dello zero virgola. Che spiegazione c'è per questi numeri? “La spiegazione non ce l'ha nessuno. Si possono fare solamente delle ipotesi, anche perché tutti i dati che abbiamo non sono perfetti. Per sapere esattamente di cosa parliamo non è tanto il dato della mortalità in genere ma bisognerebbe sapere quanti e quale è la mortalità dei pazienti che sono stati ricoverati, quanti di questi pazienti sono stati trasferiti in terapia intensiva, come è la mortalità di quelli in terapia intensiva e la mortalità di quelli fuori. Questi sarebbero i dati certi. Il resto della mortalità dipende dal denominatore perché il numero che danno dei contagiati è abbastanza ridicolo. Perché probabilmente i contagiati sono 5, 10, 15 volte tanto”. Lei si riferisce all'Italia o ai dati mondiali? “Adesso mi riferisco ai dati globali dell'Italia. Si dimentichi i contagiati. A me piacerebbe sapere quant'è la mortalità di quelli ricoverati in ospedale, divisa tra quelli in terapia intensiva e quelli fuori dalla terapia intensiva. Dopodiché la spiegazione, il virus più cattivo, le differenze di razza, le differenze varie non credo che siano molto verosimili ma questa è una mia opinione perché tutto è possibile. La impressione che ho io, che è lontana da essere certezza o verità, è che la Germania non ha avuto ancora, e mi auguro che non lo abbia mai, l'iper afflusso di malati che abbiamo avuto in Italia in ospedale”. Il problema quindi è l'eccesso di ospedalizzazione? “No, non è la ospedalizzazione. È la mancata disponibilità di poter avere effettivamente una cura perfetta in ospedale. Se arrivano 50 pazienti in un determinato tempo breve e sono molto gravi non si riescono a curare. Bisognerà vedere la mortalità quando diminuirà il numero dei contagiati e degli ingressi in ospedale. La prova del nove sarà vedere se la mortalità ospedaliera calerà in funzione del numero degli ingressi. Quella sarà la risposta ed io credo che calerà”. Il numero di terapie intensive che una nazione ha perciò diventa determinante in tempi di coronavirus? “Il numero di terapie intensive che un Paese ha è importante ma lei non può neanche pensare di fare un numero di terapie intensive che permetta allo stesso tempo ed allo stesso momento di ricoverare il numero di malati che hai in una situazione di emergenza così. È impensabile, non è possibile. Quindi questa situazione qua è una situazione di compromesso. La prova per spiegare la mortalità che abbiamo in Italia sarà vedere se questa mortalità diminuirà in funzione del numero di pazienti che arriveranno in ospedale. Le faccio un esempio: se mi arrivano 50 pazienti facciamo, per ipotesi, che ho una mortalità del 20%. Mi arrivano dieci pazienti ed ho una mortalità del 5%. Bisognerà capire, a posteriori, questa misura statistica che sarà fatta sull'importanza dell'arrivo di tanti pazienti”. In questi giorni difficili vengono fatte varie ipotesi perciò le chiedo: se uno si è vaccinato per una influenza stagionale o contro la tubercolosi rispetto al coronavirus è più protetto oppure no? “Per le mie conoscenze credo proprio di no perché la vaccinazione serve contro degli antigeni specifici e non mi risulta che il bacillo di Koch abbia degli antigeni specifici simili a quelli del coronavirus. Per quello dell'influenza poi mi sembra che la prova provata che non siamo protetti - visto che quasi tutti abbiamo fatto il vaccino contro l'influenza - si abbia dal guardare la contagiosità del coronavirus. Non avremmo questo tipo di contagiosità e questo numero esponenziale di contagi se avessimo già una nostra immunità crociata con l'influenza”. Non tanto sull'immunità, ma sulle conseguenze, nel caso uno si prenda il coronavirus. Chi ha fatto il vaccino resiste meglio alle conseguenze del coronavirus? “Guardi, se lei mi domanda perché quando arriva il virus al paziente uno non gli succede nulla, al paziente due gli viene il raffreddore, al paziente tre gli viene la polmonite, al paziente quattro gli viene una polmonite grave da finire in ospedale con il casco ed il paziente cinque finisce in rianimazione, perché succede questo? Dov'è la differenza? La risposta è molto semplice: non lo sappiamo. Dopodiché uno può fare tutte le ipotesi che vuole”. Sulla durata di questo virus, lei si è fatto una idea? “È prematuro dirlo. Quello che dobbiamo fare è, giorno dopo giorno, affrontare questa situazione al meglio delle nostre capacità. Dopodiché lasciamo che si sviluppino i modelli matematici, lasciamo che si accumulino le conoscenze, che si confrontino gli studiosi del settore. E poi vediamo cosa succede. Posso dirle? Nella vita quando mai ha visto che le previsioni arrivano al risultato sperato? Sono giusto previsioni. Quante volte ha sentito dire, tra dieci giorni vedremo, tra dieci giorni vedremo, tra dieci giorni vedremo, e intanto sono passati trenta giorni”. Quindi? “La cosa migliore è stare tranquilli, chiusi a casa perché ognuno di noi è un potenziale virus. C'è chi pensa che il virus sia una bestiola che gira da uno ad un altro. Lei in questo momento ha vicino qualcuno?”. No, sono solo. Perché? “Perfetto, lei nel suo salotto non ha nessun virus a meno che lei stesso non sia un virus. A questo punto se la gente si convincesse di questo! Lei salirebbe su un bus pieno di gente? Salirebbe su un treno affollato di gente? No. Questo atteggiamento non aiuta la socialità ma credo aiuti a combattere il virus”. La camminata da soli: Angela Merkel in Germania l'ha lasciata, da noi invece chi passeggia da solo è diventato oggetto di caccia all'untore. Non stiamo esagerando? “Se trova un altro umano che è contagiato, che le passa vicino e le dà una manata sull'occhio lei rischia. Se gira da solo no. La Merkel ha detto ai tedeschi: è possibile la passeggiata da soli. Il che vuol dire che i tedeschi passeggiano da soli, perché in questo Paese nascono con le regole. Io adesso sono a Göttingen: a questi se gli dici state in casa, questi stanno in casa. Noi adesso abbiamo tre pazienti in rianimazione e abbiamo ancora molti posti ma tutto si svolge ordinatamente. Credo che il caso italiano sia servito molto nel mondo, abbia insegnato. La differenza che c'è tra i tedeschi e gli italiani è che gli italiani non sono tedeschi. Le regole, diciamo, i tedeschi tendono a seguirle un filo di più di quanto facciamo noi in Italia”.

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