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Nel Lazio Forza Italia sceglie la sinistra

Daniele Di Mario
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Le elezioni provinciali spaccano il centrodestra, con Forza Italia alleata nel Lazio del Partito democratico. Con gli elettori che resteranno a casa a causa della legge Delrio che prevede il voto di secondo livello, il 18 dicembre saranno sindaci e consiglieri a votare i presidenti delle Province e le assemblee consiliari. E quando i cittadini non si recano alle urne, i dirigenti di partito cadono nella tentazione di provare «esperimenti» politici.

Accade nel Lazio, in particolare a Latina e a Viterbo. Partiamo dalla Tuscia. Per la presidenza (le Province eleggono anche il presidente, mentre per le Città metropolitane la carica coincide con quella del sindaco del Comune capoluogo), Forza Italia sostiene il primo cittadino di Bassano in Teverina, Alessandro Romoli, civico di area azzurra. Alleato di FI è il Partito democratico. Contro in candidato sostenuto dall'intesa di stampo europeista tra i popolari e i socialdemocratici viterbesi c'è Alessandro Giulivi, sindaco di Tarquinia ed espressione di Lega e Fratelli d'Italia. Una frattura nel centrodestra destinata ad avere inevitabili ripercussioni sul sindaco di Viterbo, il forzista Giovanni Arena.

«Questo è l'ultimo sgarbo che subiamo da FI a Viterbo. Stavolta il sindaco lo mandiamo a casa. Dopo le provinciali se ne accorgerà», minacciano fonti parlamentari del Carroccio laziale. Situazione non dissibile a Latina, dove Forza Italia ha dato vita a un'alleanza con Pd, Italia viva e movimenti civici di sinistra, di cui è espressione il rieletto sindaco del capoluogo pontino Coletta. Uno schieramento liberale, popolare e progressista a sostegno del candidato presidente Gerardo Stefanelli, attuale sindaco di Minturno al secondo mandato (è stato rieletto al primo turno col 60% a ottobre), che nel 2019 ha abbandonato il Pd. Una frattura che non ha impedito ai Dem di appoggiarne la ricandidatura a primo cittadino insieme a quattro liste civiche d'ispirazione centrista e sostenuto anche da FI, con FdI e Lega divise a loro volta su due candidati di bandiera.

Proprio il coordinatore regionale azzurro, il senatore Claudio Fazzone, aveva invitato il centrodestra a convergere sulla candidatura di Stefanelli a presidente della Provincia, annunciandone comunque il sostegno da parte di Forza Italia. Cosa che si è puntualmente verificata, generando un'altra frattura nel centrodestra: FdI e Carroccio hanno infatti deciso di candidare Giovanni Agresti, primo cittadino di Itri. L'alleanza Pd-FI a Latina ha avuto ripercussioni anche nelle liste per la Città Metropolitana di Roma Capitale.

Dal listone unitario del centrodestra è stato infatti escluso il consigliere comunale di Velletri Salvatore Ladaga, il cui riferimento è il consigliere regionale azzurro Fabio Capolei, a sua volta vicino a Fazzone. Su Ladaga - che fonti di partito riferiscono essere fortemente contrariato e adirato - è caduto il veto di Claudio Durigon, segretario regionale leghista al quale i vertici forzisti (il coordinatore provinciale Alessandro Battilocchio e il vicepresidente e coordinatore nazionale Antonio Tajani) non si sono opposti. Una ritorsione - riferiscono conti parlamentari - per la politica di alleanze sul territorio pontino di Fazzone che controlla il partito a Latina e provincia, non nuovo a convergenze con il Pd e con Italia viva. Schermaglie locali, certo. Ma che testimoniano come tra la classe dirigente territoriale di FI sia cominciata una riflessione sulla ricollocazione politica alla fine della legislatura nazionale e regionale.

Voci insistenti parlano di ampie frange centriste pronte a correre alle regionali nel Lazio con i Dem: è questo lo schema - riferiscono fonti del Nazareno - su cui gli sherpa del Pd lavorano per il dopo-Zingaretti. Al di là delle rassicurazioni di maniera sul valore dell'unità della coalizione di centrodestra. Tutto dipenderà dall'elezione del Presidente della Repubblica e, conseguentemente, dalla durata dell'attuale legislatura.

In caso di elezione di Mario Draghi al Quirinale, lo scenario puù probabile è quello del voto anticipato nel 2022, con l'attuale legge elettorale maggioritaria che blinderebbe i blocchi politici. Almeno fino al giorno del voto. In caso di prosecuzione della legislatura fino alla scadenza naturale del 2023, invece, lo scenario potrebbe cambiare perché - riferiscono nel Pd - «il Paese sarebbe pronto per il ritorno al proporzionale». Con la conseguente possibilità di scomposizione e ricomposizione della geografia politica italiana: un tema che interessa i Dem, certo, ma soprattutto gli schieramenti centristi: Italia Viva, Coraggio Italia, Noi con l'Italia, Udc e Forza Italia. Sarà anche per questo che il centrodestra fatica al momento a mantenere una linea comune.

Al di là della candidatura di Silvio Berlusconi al Colle, sul piano B e sul piano C evocati più volte dal presidente FdI Giorgia Meloni, Lega (spaccata al proprio interno proprio sul governo Draghi) e FI nicchiano. Elezione del Capo dello Stato a parte, su legge elettorale - proporzionale, maggioritaria o proporzionale con vincolo di coalizione - collocazione europea, FI, Lega e FdI devono ancora elaborare una linea comune da perseguire insieme e con convinzione. 

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