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Nel Lazio via ai vaccini ma senza infermieri

Antonio Sbraga
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Gli operatori sanitari "arruolati" nella campagna di vaccinazione rischiano di accorciare la già corta coperta degli organici laziali. Ogni equipe vaccinale, infatti, è composta generalmente da un medico più 4 infermieri e i rinforzi promessi dal commissario straordinario, Domenico Arcuri, non bastano a coprire gli 85 centri annunciati (infatti oggi si parte solo in 50).

 

 

Soprattutto per la predominante parte infermieristica richiesta, che già corrisponde, nel Lazio, alla categoria più sguarnita e anziana d’Italia. Tant’è che l’Ordine delle professioni infermieristiche (Opi) di Roma ha sentito l’esigenza di scrivere al presidente della Regione, Nicola Zingaretti, per ricordare che «la pandemia da Sars-Cov-2 sta evidenziando ancor più marcatamente la grave carenza di personale infermieristico esistente nel nostro Paese e in particolare nel Lazio. Una crisi che si trascina da anni, ma che l’attuale emergenza sanitaria rende manifesta in tutta la sua drammaticità».

Il Lazio, infatti, «negli ultimi otto anni ha perduto 6.809 operatori sanitari (tra i quali -1.510 medici e -1.485 infermieri)», come quantifica il 2° Report Salutequità. Non solo: il Lazio ha anche «il più alto numero di pazienti medi per ogni infermiere (15), secondo solo alla Campania (17) a fronte di una media nazionale di 11». Ed è pure la Regione dove attualmente in servizio risultano tra gli infermieri più vecchi d’Italia, con un’età media di 54,6 anni (secondi solo alla Campania, con 55,9 anni). E neanche i «cospicui arruolamenti avvenuti nelle strutture sanitarie pubbliche della nostra Regione nel corso dell’ultimo anno», scrive il presidente dell’Opi, Maurizio Zega, hanno risolto i problemi. Perché «hanno determinato, oltre all’esaurimento dei professionisti abilitati disponibili, un forte depauperamento degli organici in molte strutture sanitarie convenzionate, soprattutto nelle Rsa. Molte di queste provano inutilmente a rimpiazzare i professionisti assunti nelle strutture pubbliche rivolgendosi a cooperative, agenzie di lavoro interinale, studi associati, tentando anche di arruolare infermieri dall’estero, peraltro con esiti assai scarsi».

 

 

Si avverte, dunque, il bisogno di estendere il numero sin dagli allievi-infermieri: «Si chiede alla Regione Lazio di invitare le Aziende Sanitarie sede di corsi di Laurea in Infermieristica ad aumentare i posti disponibili già dal prossimo Anno Accademico e ad attivare nuove sedi sul territorio in tutte quelle strutture previste dalla normativa vigente. A tal fine si rende necessario riattivare i finanziamenti dedicati», avverte l’Opi. Ricordando alla Regione che «proprio per ragioni economiche, tali enti hanno infatti rinunciato a chiedere le convenzioni o addirittura negli anni hanno chiesto la risoluzione degli accordi chiudendo sedi formative». Per le quali «sarebbe necessario provvedere ad una riqualificazione anche in termini di strutture e personale. Si segnala, con grande preoccupazione, che, anche adesso, molte delle sedi formative regionali risentono fortemente dei tagli al personale assegnato e alla manutenzione delle strutture messe a disposizione degli studenti».

Una crisi che si trascina da oltre un decennio: «Si fa presente che solo nel 2008 sono stati previsti dei rimborsi una tantum alle aziende, a copertura degli anni 1998-2006. Poi più nulla», conclude Zega, che avverte la Regione: «se non si prevede un intervento immediato che possa dare alle aziende e strutture sanitarie un incentivo e un sostegno per il potenziamento della rete formativa nel tempo, non si potrà che assistere ad una lenta ma inevitabile riduzione del numero dei formandi nella nostra Regione, rendendo difficile raggiungere gli standard numerici e qualitativi richiesti non solo dagli istituti di ricovero, ma soprattutto dal territorio che, come previsto e dimostrato, rappresenta il futuro della sanità regionale».

 

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