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L'Aria Che Tira, Andrea Crisanti sul guaio varianti: se i vaccini non ci salvano

Giada Oricchio
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Il virologo Andrea Crisanti, nel corso del programma di LA7, “L’Aria che Tira”, ha fatto luce sulle temibili mutazioni del Coronavirus: “La variante inglese del Covid-19 pone problemi per l’efficacia del vaccino sui contagi. Inghilterra, Portogallo e Israele sono i paesi dove è più diffusa, si trasmette con maggior facilità e probabilmente le misure adottate per contenere le varianti precedenti non bastano. Per quanto riguarda se ha o no una maggiore letalità, il discorso è ancora aperto: ci sono più morti e più Terapie Intensive, ma ci sono anche più contagiati. Statisticamente non si riesce a distinguere. La variante inglese è più contagiosa e ha un impatto sulle persone vaccinate, mentre la variante brasiliana , in esperimenti di laboratorio in vitreo ha dimostrato la capacità di infettare le cellule anche in presenza di anticorpi stimolati dal vaccino, cioè ha una capacità di resistenza importante agli anticorpi prodotti dal vaccino. Tuttavia non esiste uno studio che sostenga che si traduca in trasmissione in persone vaccinate”.

Il  Direttore del dipartimento di Medicina Molecolare e professore di Epidemiologia e Virologia all’Università di Padova è stato molto duro sulla campagna vaccinale: “Per raggiungere gli obiettivi prefissati entro giugno dovremmo vaccinare 10 milioni di persone al mese, è impossibile. Altro che superare oggi quota 1 milione di vaccinati con la doppia dose! Quel piano è superato e fallito. Mi dispiace auto citarmi però avevo detto che era un grave errore vaccinare quando il virus ha ancora una elevata trasmissibilità, è un errore perché il virus muta e si adatta, i cambiamenti danno al virus delle modalità nuove di contagio che sfuggono al vaccino rendendolo inutile. Bisogna vaccinare quando la trasmissione è ridotta al minimo”.

 

 

Crisanti, pronto a rispondere a un’eventuale chiamata di Mario Draghi, ha fatto chiarezza sul vaccino AstraZeneca: “Se è solo per under 55? Ci sono due problemi: il primo è di carattere formale, cioè il vaccino è stato sperimentato su un numero di persone che non comprendeva in modo significativo chi aveva più di 55 anni, dunque se il trial ci dà certe informazioni su determinate persone, poi bisogna rispettarlo, altrimenti che lo facciamo a fare? Non è che si può sperimentare sulla popolazione, la Svizzera non lo ha voluto perché non era convinta dell’efficacia. Il secondo problema è sostanziale: il vaccino AstraZeneca ha una capacità protettiva intorno al 65%, questo significa che se vaccinassimo l’80% della popolazione raggiungeremmo un’immunità del 48% ed è assolutamente inaccettabile, non possiamo improvvisare”. Il virologo ha spiegato anche il nodo degli anticorpi monoclonali: “Bisogna sempre fare riferimento alle sperimentazioni, hanno fatto due trial, uno su pazienti gravi e uno su quelli medio-lievi. Sui gravi il trial è fallito, non ha dato nessun beneficio e c’è stato un aggravamento dei sintomi. L’FDA li ha approvati solo su pazienti medi e con sintomatologia lieve. I monoclonali hanno dimostrato di avere effetto su un gruppo limitato di persone. In base ai risultati non sono generalizzabili anche perché i monoclonali non sono tutti uguali. Inoltre l’emergenza delle varianti pone un problema per i monoclonali perché questi riconoscono solo pezzetti del virus, se non si studia il tipo giusto si dà un monoclonale inutile”.

 

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