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Museo del fascismo, no alla proposta M5S. Raggi mette la croce

Alessandro Giuli
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Non poteva che finire così, con una rotonda e fragorosa figuraccia, la fantasmatica vicenda del Museo del fascismo proposto a Roma (fra gli altri) dalla consigliera pentastellata Maria Gemma Guerrini: “Un grande museo da realizzarsi in un sito di archeologia industriale”. Progetto bocciato dalla sindaca Virginia Raggi al primo stormir di fronde tardopartigiane: “Roma è una città antifascista, nessun fraintendimento in merito”.

E’ bastato un appello indignato di intellettuali organici alla sinistra (fra i quali il pur libertario Luigi Manconi), subito seguìto da un comunicato dell’Anpi con scomunica allegata – “manifestiamo la nostra più viva contrarietà all’approvazione di simile mozione e invitiamo i proponenti a ritirarla” – per far naufragare nel nulla una proposta improvvisata in modo estemporaneo e con un sovrappiù sconclusionato che non prometteva alcunché di buono. Nelle intenzioni della grillina Guerrini e degli altri ideatori, il museo sarebbe nato come un “attrattore per scolaresche, curiosi, appassionati ma anche turisti da tutto il mondo”, ferma restando ovviamente la “necessità di contrastare il negazionismo e l’ignoranza”. I partigiani del Terzo millennio hanno colto l’occasione per denunciare l’assenza di “un museo sui crimini del fascismo, sull’esempio di quanto realizzato in Germania… Immaginiamo quanti non vedano l'ora di poter dimostrare che il fascismo ha fatto anche cose buone”. Immancabile anche il riflesso pavloviano del Partito democratico capitolino: “Non permetteremo che Roma, medaglia d’oro per la Resistenza, ospiti un museo del fascismo”.

Non a caso abbiamo scelto l’aggettivo “fantasmatico” per qualificare un’idea di per sé legittima, ma che in una nazione ad alto tasso di cattiva coscienza ideologica rischia di ridursi a un’oscura seduta spiritica e beneficio d’improbabili fronti eternamente in lotta sulle spoglie di un passato morto e sepolto ma non ancora storicizzato a dovere. Quando, anni fa, si parlò di un museo del fascismo da allestire in quel di Predappio, il paese natale di Benito Mussolini peraltro governato dalla sinistra, scrivemmo che l’Italia non era pronta per una simile iniziativa. E non tanto perché la memoria è sempre selettiva e viene amministrata dai vincitori, ma per via di una persistente e diffusa immaturità culturale che si accompagna a strumentalizzazioni d’ogni ordine e grado, fino a degradare la rappresentazione oggettiva di ciò che fu il fascismo al rango di una macchietta strapaesana per neofascisti inconsolabili o di un bersaglio-totemico per antifascisti dell’ultim’ora privi d’idee contemporanee credibili.

 Se il “bilancio consolidato” sul fascismo, a conti fatti, non può che essere definitivamente negativo, nondimeno il superamento della sua spettrale ombra novecentesca passa giocoforza per una storicizzazione libera, aperta, scientifica, immune da inquinamenti ideologici. In questo campo la comunità accademica popolata da storici, architetti, urbanisti, giuristi e filosofi dimostra da oltre mezzo secolo di essere molto più avanzata e consapevole del circo politico-mediatico. Ma parliamo appunto di una minoranza illuminata incapace di contrastare l’onda d’urto dei nostalgici neofà e antifà. Figurarsi se questo compito di buon senso può essere affidato a persone come la Raggi, che conoscono la storia e le sue molteplici sfumature così come amministrano la cosa pubblica improvvidamente affidata loro: e cioè, sebbene in presenza di risultati calamitosi, comunque in un modo più ridicolo che disastroso.

L’Italia ha bisogno d’intelligenza pratica e di concordia istituzionale; per lo meno fino alle prossime elezioni per il Campidoglio, la Capitale non sarà in grado di offrire un buon esempio per nessuno.

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