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Coronavirus, non c'è lo Stato: i negozianti romani offrono la spesa ai poveri

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Franco Bechis
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Una busta della spesa appesa davanti alla vetrina del negozio, riempita fino all'orlo. Altre disseminate lungo il marciapiede, appese ai paletti che lo separano dalla strada. Erano disseminati ieri a Roma lungo via Lorenzo il Magnifico, una delle arterie che giungono a piazza Bologna. Tutte offerte dai commercianti della via, quelli aperti: pizzicagnoli, fruttivendoli, botteghe dell'alimentare che possono restare aperte anche nell'Italia del coprifuoco. La capitale è piena di questa generosità: c'è la spesa sospesa che gli agricoltori Coldiretti lasciano a chi non ha più soldi per mettere insieme un pranzo con la cena, c'è Alessandro, macellaio dell'Ardeatino che come abbiamo raccontato qualche giorno fa, regala la sua carne a chi non ne ha ed è senza soldi per acquistarne. Ci pensano loro, che non hanno bisogno di dpcm, di dirette facebook, di finte conferenze stampa, di decretoni e decretini. “Facciamo noi”, dicono a chi ha bisogno. E fanno. Proprio loro, i commercianti: le prime vittime di questa serrata decisa dal governo di Giuseppe Conte da settimane. Magari saranno i loro colleghi i primi ad averne bisogno: la merciaia che non incassa più un centesimo da febbraio, la collega che aveva quella piccola bottega di vestiti, il barista, il ristoratore. Fanno loro, perché lo Stato non c'è. Il 28 marzo scorso aveva annunciato con il petto tronfio e lo sguardo grave un immediato stanziamento ai comuni per dare un buono pasto a chi non ha da mangiare. Ma che vuoi che capiscano quelli lì che hanno l'alloggio a palazzo Chigi, il maggiordomo istituzionale, le forniture di palazzo, il frigo pieno come la loro pancia, di cosa siano i morsi della fame? Loro annunciano. E il 29 marzo gli stomaci vuoti restano senza cibo. Il 30 marzo pure. Il 31 si mangia solo aria. Il primo aprile nemmeno per scherzo si è visto in giro un buono pasto. Il 2 aprile il comune di Roma annuncia gli accordi fatti con gli esercizi dove spendere il buono, che però non c'è. Ma con l'acquolina in bocca ora sai che potrai mettere in pancia perfino un sushi o due, perché si può spendere pure lì. Il 3 aprile sono arrivati i moduli per avere il buono pasto distribuiti alle edicole, alle associazioni, alle parrocchie. Un po' di burocrazia: li compili per benino, li consegni a chi te l'ha dato e verrà poi la protezione civile a raccoglierli e con l'efficienza che ha ben mostrato nella distribuzione delle mascherine di protezione ai medici, prima o poi lo farà arrivare a casa. Quindi, altro che intervento di massima urgenza come aveva adesso Conte: non si mangia oggi, non si mangerà domani, né dopodomani né per chissà quanto. In compenso quel buono pasto- come è scritto nel modulo- arriverà pure ai percettori del reddito di cittadinanza. Intendiamoci, non ho nulla contro quei poveretti: ricevono un assegno di sussistenza che basta appena appena per campare. Ma sono anche una delle poche categorie se non l'unica a cui davvero non è cambiato nulla prima e dopo la chiusura dell'Italia con l'arrivo del coronavirus. Non c'è lo Stato, facciamo noi perché altra via non c'è. Noi commercianti, noi partite Iva, noi piccole e medie imprese, noi che siamo il motore dell'Italia e che sembriamo i nemici giurati di questi che ci governano. Quelli a cui hanno concesso un po' schifati quei maledetti 600 euro come risarcimento delle migliaia di euro che ci hanno fatto perdere ogni giorno a marzo. Quelli che ci siamo messi in fila virtuale a quello sportello Inps in tilt per fare la domanda, perché davvero non ce la facciamo più. Quelli che avete preso in giro, perché nemmeno a uno di noi a tre settimane dall'annuncio è stato corrisposto un solo centesimo e chissà per quanto questa attesa dovrà ancora durare visto che i soldi per noi non li avete nemmeno stanziati (un euro virtuale ogni sei fin qui richiesti), ma siccome siete parolai che vivete sulla luna ci prendete ancora in giro dicendo che il mese successivo (cioè questo) i soldi saranno di più: invece che 600, ben 800 euro. Quei sacchetti di frutta, verdura, pane, qualche fetta di formaggio sono lì appesi per chi ha bisogno e per la vergogna di questo governo e di tutta la sua banda, giù per ogni burocrazia. Evviva i commercianti, evviva gli agricoltori, i piccoli imprenditori, le famose partite Iva! Evviva questa meravigliosa gente che non piega la schiena anche quando gli spezzi le ginocchia come hanno fatto adesso. Sono la spina dorsale di questa Italia, e tutti dovremmo essergliene grati.  

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