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A Roma non la contano giusta

Franco Bechis
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Qualche giorno fa ho ricevuto due telefonate private da esponenti delle istituzioni che conosco da anni. “Chiamo l'amico più che il giornalista”, mi hanno più o meno detto entrambi, aggiungendo “Stai attento, perché fonti riservate prevedono l'esplosione del contagio a Roma nei prossimi giorni”. E' trascorso qualche giorno da quelle telefonate, e apparentemente nella capitale e in genere nella Regione Lazio quella esplosione non c'è stata. I dati nazionali sono impressionanti, ma ancora il bollettino ufficiale di ieri mattina diceva 84 contagiati in più nel Lazio, che è arrivato a quota 618, con 199 contagiati a Roma, 191 nella sua provincia e 228 nelle altre province laziali. Con numeri così bassi difficile parlare di pandemia in questa area, e quindi è possibile che l'allarme che mi è stato lanciato fosse poco fondato e le fonti da cui provenivano non così attendibili. Però ieri sera ho sentito dire in tv dal ministro della Salute, Roberto Speranza “Io credo che l'indice complessivo del numero dei contagiati sia superiore a quello che appare”, e allora ho iniziato ad avere qualche dubbio non su chi mi aveva avvertito, ma sulla Regione Lazio che sta fornendo dati forse molto calmierati. Mi è capitato qualche giorno di ricevere segnalazioni da lettori e conoscenti assai superiori a quelle censite nel bollettino del giorno e credo proprio che molti dati del contagio qui più che altrove non vengano classificati nei bollettini quotidiani. Il motivo è più che intuibile: non ci sono posti necessari al ricovero di tutti i malati, figuriamoci se poi avessero bisogno di terapia intensiva e quindi si cerca di ritardare il più possibile l'ingresso nel circuito ospedaliero dei malati. Qualche giorno fa è arrivato il disperato appello di una giovane malata- ed è una sola delle tante storie che sono in grado di raccontare- che da tre giorni aveva febbre molto alta e tosse persistente dal primo pomeriggio in poi. Aveva già avuto un mese fa l'influenza. Allarmata ha provato a mettersi in contatto con i numeri verdi regionali: non risponde nessuno, cosa segnalataci da gran parte dei lettori. Allora ha chiamato il 112, dove hanno risposto subito e raccolta la sua storia: “La facciamo chiamare dal 118”. Nelle 48 ore successive nessuno si è fatto sentire.  Per approfondire leggi anche: La norma scandalosa scompare dal decreto Temo che questo non sia un caso isolato. E che proprio per questo i numeri siano assai più elevati di quanto non ci venga detto. A Roma il coronavirus ha colpito seriamente la politica: è malato il viceministro della Salute, Pier Paolo Sileri, e lo è Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio che ha passato giorni difficili e a cui auguriamo di venirne presto fuori tornando sul ponte di comando. Sono ammalati vigili urbani, autisti Atac, la gente comune. E il contagio è assai facile: fino alla serrata del decreto governativo i romani hanno fatto di tutto, poi si sono spaventati un po', ma è durata 24-36 ore. Video e fotografie ci fanno vedere un traffico che di giorno in giorno è cresciuto, l'assalto un po' cretino ai parchi, molta più gente a passeggio (ieri mattina a piazza Bologna sembrava un giorno normale), immigrati che si accalcano un alcune zone, la tensione che è già un po' caduta. Qualche guaio l'ha fatto la stessa Regione, tagliando i treni pendolari perché c'era meno gente che si muoveva. Così gli unici in funzione sono presi di assalto da chi deve per forza muoversi. Le immagini che pubblichiamo oggi sia dai convogli che alla discesa dei passeggeri a Termini dicono che se lì in mezzo c'è un contagiato, il virus galoppa. Non solo: la protezione dei cittadini e perfino degli operatori sanitari fa acqua da tutte le parti, perché la Regione oggi non è in grado di assicurare a tutti le protezioni di cui hanno bisogno (mascherine filtranti in primis). Arrivano le proteste di medici e infermieri ogni giorno, perché devono utilizzare prodotti che dovrebbero invece buttare via dopo otto ore, ma senza alternativa restano l'unica soluzione a disposizione. A Roma poi ci sono 150 case di cura private, e lì debbono arrangiarsi. Per tutti questi motivi e per quello che dicono Speranza come i massimi virologi, i numeri forniti dalla Regione sul contagio nel Lazio non dicono la verità e sottovalutano di molto la realtà. Il motivo purtroppo è ben noto: da anni questo governo regionale taglia indiscriminatamente posti letto e chiude ospedali, senza per altro tamponare la voragine in altro modo. Oggi la Saanità del Lazio non è attrezzata per affrontare questa emergenza, e poco contano i comunicati e gli annunci che ogni giorno vengono diramati per rassicurare. All'improvviso si aprono uno dietro l'altro dei reparti “Covid 19” perché il solo ospedale che accoglieva i pazienti gravi- lo Spallanzani- è minuscolo e non in grado di affrontare alcuna emergenza vera. Ma si procede un po' a casaccio. Meglio averli che essere privi di ogni cosa, però non possiamo dimenticarci che la Columbus dell'ospedale Gemelli aperta ieri doveva essere chiusa solo qualche mese fa, e immagino che qualche problema di funzionalità abbia. Poi si è corsi- altro mistero- ad aprire un nuovo Covid nell'Istituto clinico Casalpalocco, una piccola clinica specializzata in cardiochirurgia presieduta dall'ex senatore Valentino Martelli e appartenente al gruppo GVM di Ettore Sansavini, ben conosciuto in Emilia Romagna. Una scelta incomprensibile visto che come dicono gli amministratori della struttura nella relazione all'ultimo bilancio depositato in camera di commercio, la clinica da anni perde milioni di euro “da un lato per le difficoltà a lavorare in una piazza difficile quale Roma e dall'altro per il diniego che abbiamo subito, da parte della Regione Lazio, all'accreditamento della nostra struttura”. Ma come, l'assessorato alla Sanità della Regione prima ritiene quella struttura non meritevole di accreditamento, provocando la stizza di quegli imprenditori convinti di avere subito un torto, e poi all'improvviso la struttura viene scelta per una delle funzioni più delicate, come il fronte della guerra al coronavirus? La cosa ha talmente stupito che le opposizioni pretendono spiegazioni dall'assessore Alessio D'Amato. Altre ne sono state indicate per tamponare la voragine che ora rischiano di pagare i malati. Ma ci vuole tempo ad attrezzarle (Policlinico Umberto I, Eastman e Tor Vergata), e soprattutto per liberare posti all'emergenza si dovranno mandare via malati anche gravi che lì non erano finiti per caso. Chi cura tutti gli altri? Perché di terapie intensive c'è bisogno anche per tutti loro. Non è che uno preso da un infarto può chiedergli gentilmente di ripassare più tardi perché l'assessore alla Sanità del Lazio ha altri diavoli per i capelli. Lo stesso vale per tutti gli altri malati, perché un trapianto rimandato quando necessario può mettere a rischio vite umane. Certo, le voragini non si riempono con cestelli di sabbia. Ma qualcosa in più ci sarebbe da attendersi anche ora, perché la saluta di tutti vale più dell'orgoglio dei singoli.

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