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Colpo in gioielleria con un finto disabile sulla sedia a rotelle

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L'orefice, Spartaco Nicoli, 25 anni ferito in testa col calcio della pistola

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Ilgiovane gioielliere, gentile, ha sbloccato la porta blindata e l'ha tenuta aperta. Poi la sorpresa. Colpito in pieno volto da un pugno sferrato da uno dei due balordi a viso scoperto, con accento romano, armati. Hanno agito ieri nel primo pomeriggio alla Circonvallazione Gianicolense, alla gioielleria Nicoli, in cima ai Colli Portuensi. Poi sono fuggiti, cercati da Volanti della polizia e Gazzelle dei carabinieri. Circa 200 mila euro il valore del bottino. Il giovane ha una ferita alla testa: i malviventi gli hanno puntato le pistole alle tempie e si sono fatti aprire la cassaforte. Quindi lo hanno tramortito col calcio dell'arma, legandolo con le fascette di plastica ai polsi. Il giovane sapeva che la sorella sarebbe arrivata a momenti. È rimasto lucido e immaginando il peggio si è rivolto ai banditi: «Fate presto, sta arrivando mia sorella». I due sono stati lesti. Hanno riempito un borsone e sono usciti incrociando la ragazza che non ha sospettato niente, fino a quando non ha trovato il fratello immobilizzato, con la testa insanguinata. Sul caso indaga la polizia del Commissariaato Monteverde di Mario Viola. L'orefice Spartaco Nicoli ha 25 anni e coraggio da vendere. Il negozio è aperto dal 2003. Ci lavorano il padre Carlo e la sorella Alessandra, di 25. Ma è da un pezzo che la famiglia è del mestiere. Nel 1950 il nonno paterno, Spartaco senior, aprì una oreficeria a Casetta Mattei. Ed è da parecchio che i Nicoli conoscono bene che una rapina si sa come inizia ma non come finisce. Nel maggio '89, durante un'irruzione i balordi ferirono in una sparatoria il nonno alla schiena e rimase paralizzato. Quasi 24 anni dopo il giovane nipote che si chiama come il nonno è stato vittima di una razzia con il trucco delle carrozzella. Una beffa amara. La rapina è anomala. È stata quasi spettacolare, sicuramente originale. Ma anche avventata. Di solito chi si presenta armi in pugno per ripulire una gioielleria lo fa col volto coperto e i guanti, per non farsi vedere in volto e non lasciare impronte digitali sul luogo del delitto. Stavolta però sembra che i malviventi non abbiano preso le solite precauzioni. Alle 16 i due balordi si sono presentati davanti alla oreficeria. Per superare l'ingresso del locale hanno finto che uno dei rapinatori fosse paralitico e che il complice lo aiutasse spingendolo da dietro. Chiaramente nessuno di loro poteva essere a volto coperto. Spartaco Nicoli non ha esitato. Ricordava che circa un mese fa un ragazzo si è presentato nel negozio acquistando un buono di 300 euro da regalare a un suo amico che aveva detto di aver subito un incidente in moto. Così l'orefice quando ha visto il tizio sulla sedia a rotelle forse ha pensato a lui: ha tenuto aperto il varco per facilitare l'entrata del sedicente disabile. Un attimo dopo c'è stato il terremoto. Il falso handicappato si è alzato sulle sue gambe e ha sfoderato la pistola assieme all'altro. A volto scoperto si sono infilati nel locale. Hanno puntato le canne delle pistole sulle tempie del ragazzo costringendolo ad aprire la cassaforte. Poi lo hanno colpito alla testa e gli hanno legato i polsi svuotando il forziere e infilando il bottino in un borsone. Un'azione ripresa dalle telecamere del sistema di videosorveglianza sistemate fuori e dentro il locale. Pochi minuti dopo i due sono fuggiti salendo in fretta a bordo del furgone bianco con scrtitte adesive su entrambi i lati. Forse ad attenderli c'era una donna. «Questo è un momento difficile, di crisi economica - dice Carlo Nicoli, padre del ragazzo vittima - I delinquenti sono senza scrupoli e i fatti lo dimostrano. Però non vogliamo mollare. La rapina è stata ingente. E non è la prima volta. Non molto tempo fa - continua - il palazzo che comprende il negozio è stato ristrutturato, sono stati montati i ponteggi e di notte altri balordi con le mazze hanno sfondato le vetrine e razziato quello che potevano. Quel momento è stato duro - ricorda Nicoli - Mio padre è rimasto paralizzato, ha sofferto tre mesi di agonia, si è lasciato andare ed è morto nel 2001. Ma non abbiamo abbandonato il lavoro. E non lo faremo adesso».

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