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Agguato contro l'antiquario Perquisizioni e interrogatori

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I killer hanno bruciato la moto e sono fuggiti sull'auto di un complice

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PaoloRufini, 71 anni, sta meglio ma ancora non può parlare coi carabinieri del Gruppo Roma del colonnello Giuseppe La Gala. È ricoverato al policlinico Gemelli con una guancia perforata, una ferita al polso di una mano e la lingua ingrossata. Chi lo voleva morto? I familiari non hanno fornito indicazioni utili. Pare che la vittima non abbia mai subito minacce, mai avuto ruggini con qualcuno. Anche se non manca chi lo descrive come persona dai modi particolari, un po' aspro, con vari immobili in affitto. Ma sono impressioni di pochi, sfumature del carattere che appaiono troppo modeste per essere il movente di una sentenza a morte. E allora? Si spera che le telecamere di videosorveglianza montante in zona funzionino e abbiano registrato le immagini dell'azione violenta. Ieri sono scattate perquisizioni e interrogatori a personaggi della mala vicini al mondo dell'arte, che conoscono gli antiquari di Roma, a volte loro complici. Ma non è il caso di Rufini. Lui è un professionista stimato di via dei Coronari. Nell'ottobre scorso, nel Complesso monumentale Santo Spirito in Sassia, in via di Borgo S. Spirito, con la sua associazione Provarte ha organizzato la settimana edizione della mostra mercato «Antiquari nella Roma Rinascimentale». Ma è un paradosso. Più il passato di Rufini risulta trasparente e senza increspature, più fitto diventa il mistero dell'agguato che ha subito. La ricostruzione del fatto è abbastanza chiara. L'altra sera dopo le 21 Rufini arriva davanti al cancello della sua casa in via Sisto IV140. È villa Gian Marco, tutta rosa, su due piani: al primo abita lui e la moglie, in quello superiore la figlia col genero. È nell'auto - una Chevrolet - assieme alla moglie. I sicari lo hanno seguito. Sono su uno scooter in due, con i caschi. Affiancano la vettura. Il passeggero gli punta l'arma e fa fuoco quattro volte, andando a segno due. Le ogive dei proiettili si conficcano nella carrozzeria dell'auto. A terra però non ci sono gli altri due bossoli, segno che è stata utilizzata un'arma a tamburo che non ha lasciato tracce. La signora urla, facendo precipitare la figlia in strada. Invece i due killer fuggono sino a una strada poco distante dal luogo del delitto. Abbandonano la moto, gli dànno fuoco, salgono sull'auto di un terzo complice e scappano a tutto gas: scena che è stata vista da più testimoni. A soccorrere Rufini è sceso anche il genero che è salito nella Chevrolet ed è corso al pronto soccorso del policlinico Gemelli. Rufini non rischia la vita. Prima riuscirà a rimettersi e forse prima si troverà la soluzione di questo caso. Di solito obiettivi di agguati a mano armata sono pregiudicati che non hanno rispettato le regole. Quando la vittima è un incensurato lo scenario s'infittisce.

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