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«Chiedo perdono. Avevo dimenticato la borsa»

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Il responsabile degli artificieri della polizia, Timpano: era una bomba a percussione universale

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Nonso che cosa possa essere successo. Avevo lasciato lì quella borsa da tanto tempo. Mi ero completamente dimenticato». Parla così ai suoi legali e agli investigatori della Squadra mobile, Massimo Sculli, 53 anni, l'ex ufficiale di complemento dell'Esercito e impiegato alla Edit Coop in carcere per la morte dell'operaio romeno di 27 anni, Robert Iulian Kessler, che stava ristrutturando un appartamento in via Tuscolana 791 e ha maneggiato un delle quattro granate trove in una borsa. Spiegano gli avvocati difensori Fabrizio Consiglio ed Eugenio Daidone: «Attendiamo la fissazione dell'interrogatorio di garanzia. Davanti al giudice delle indagini preliminari il nostro assisitito darà la sua versione dei fatti. È una persona tranquilla. È un volontario della Croce rossa italiana, impegnato anche nella Protezione civile». Sculli aveva preso granata, cartucce e un candelotto di dinamite molti anni addietro, durante il periodo di leva con il grado di sottotenente, addetto alle linee di tiro nella caserma di Foligno. Sculli si farà carico delle spese relative al trasferimento in patria della salma dell'operaio e delle esequie di Kessler. L'altro esplosivo è stato fatto brillare dagli artificieri coordinati da Salvatore Timpano. Cinquantaduenne, calabrese di Serra San Bruno, il sostituto commissario è in polizia da 33 anni. Dieci li ha trascorsi alla giudiziaria del Commissariato San Paolo seguendo le vicende della banda della Magliana. E da ventidue è al Nucleo regionale artificieri e antisabottaggio di cui è responsabile. Il suo quartier generale è nell'edificio del Commissariato Colombo, alla Garbatella. «La Srcm è una bomba a percussione universale: basta un urto ed esplode, quello che è successo in via Tuscolana». Roma è bombarola? Stando ai numeri, sono parecchi i casi "esplosivi"? «Non si fa mancare niente. Siamo nella Capitale, c'è di tutto, c'è il mondo». Ci sono soggetti pericolosi appassionati di esplosivi che tenete regolarmente sotto controllo? «Roma non è Beirut. Ci sono personaggi attenzionati che vengono puntualmente monitorati. Chiaramente è un lavoro investigativo, più da Digos che da artificieri. Quando serve siamo chiamati». Insomma, voi arrivate solo quando si rischia il botto o già c'è stato? «Noi siamo l'estrema opzione, l'ultimo tentativo. Quando interveniamo è perché non si può fare altro». E cosa fate? «Bisogna osservare, essere freddi calmi e capire. Nel nostro ambiente si dice:l'ordigno vi conosce molto bene, voi no. È una sfida nella quale mettere le mani sulla bomba è l'ultima mossa, prima va rispettata la procedura». Si può fare prevenzione? «Se ne fa parecchia. Presso l'ufficio postale di smistamento di via Marmorata, all'Ostiense, ogni giorno controlliamo la posta indirizzata ad ambasciate e altre sedi sensibili. Davanti agli obiettivi si fanno controlli a campione di cassonetti, auto e anche persone. E ultimamente il questore Fulvio Della Rocca ha stabilito che tutto il personale deve essere formato per sapere come comportarsi in caso di ritrovamento di esplosivi. È come un primo soccorso». C'è una figura professionale alla quale ci si ispira, una sorta di eroe degli artificieri? «Non ci sono miti. L'esperienza si fa col sangue dei vinti. Per me i più bravi sono gli articieri calabresi. Non lo dico per campanilismo. Sono forti, li adoro». Come vi aiuta la tecnologia? «Ci sono i cani che fiutano l'esplosivo, lo sniffer che rileva la presenza di microparticelle nell'aria, il Vidisco per le radiografie all'ordigno e ora il Teodor, nuova versione del robottino che al mondo pochi hanno. Ma alla fine bisogna usure le mani». L'hi-tech, però, aiuta anche i bombaroli? «Sicuro. Oggi si possono confezionare ordigni con schede prestampate dove al posto dei punti di contatto di stagno s'impiega materiale esplodente. Ma ci teniamo aggiornati». Come? «Al Viminale, l'ufficio Reparti speciali del prefetto Giuffrè ci inonda di notizie. Se poi vogliamo saperne di più contattiamo chi di dovere». C'è un caso che le è rimasto impresso? «Febbraio 2003, tre ordigni al ripetitore Omnitel sul Monte Cavillo, a Tivoli. Faceva freddo. Ricordo che un funzionario mi prestò i suoi guanti di montone».

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