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"Il papà di Claudio cosciente del folle gesto"

I sommozzatori per settimane hanno cercato il corpo di Claudio nel Tevere

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Era capace di intendere e di volere. Quando ha preso in braccio il figlio di 16 mesi e lo ha lanciato nelle acque del Tevere sapeva cosa stava facendo. È quanto ha stabilito la perizia disposta dal gip nei confronti di Patrizio Franceschelli, il padre che lo scorso febbraio ha lanciato nel fiume il piccolo Claudio alle sei del mattino. Si tratta del risultato del lavoro dello psichiatra Maurizio Marasco, che con una settimana di anticipo ha depositato i risultati nelle mani del giudice Riccardo Amoroso che aveva incaricato il tecnico lo scorso 20 marzo. Insomma, secondo quanto stabilito dal perito, il papà del bambino, che è rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, è in grado di stare in giudizio e quindi va riconosciuta la piena imputabilità. Questa perizia, dunque, potrebbe impedire a Franceschelli di ottenere la semi-infermità mentale, che gli potrebbe far avere lo sconto di un terzo dell'eventuale pena. È invece atteso nei prossimi giorni l'esito della perizia, sempre sul padre del piccolo Claudio, di Emilia Costa, l'esperto nominato dai legali della mamma del bimbo. Il 7 giugno, inoltre, si terrà l'udienza che valuterà il lavoro dei tecnici. Era metà aprile quando dagli esami del dna, effettuati dai carabinieri del Ris di Roma, è emerso che il corpo rinvenuto lo scorso 29 marzo nel Tevere, all'altezza di via Col del Rosso, a Fiumicino, apparteneva al piccolo Claudio Franceschelli. Il bimbo, di 16 mesi, all'alba dello scorso 4 febbraio, fu lanciato da ponte Mazzini. Subito dopo, i carabinieri del Nucleo radiomobile avevano rintracciato e bloccato il genitore nei pressi di ponte Testaccio. I militari avevano poi informato l'autorità giudiziaria e i familiari del piccolo Claudio. L'uomo non ha mai cercato di negare di essere stato lui a compiere il folle gesto. «L'ho gettato io nel Tevere», ammettendo di aver ucciso il figlio gettandolo nel fiume. Secondo le indagini, l'uomo, di 26 anni, ha lanciato il figlio nelle gelide acque del Tevere durante un raptus di follia. Circostanza che invece sarebbe stata negata dagli accertamenti del perito del gip. Il giorno della tragedia a dare l'allarme era stato un agente della polizia penitenziaria appena uscito dal vicino carcere di Regina Coeli. Il genitore si era avvicinato al parapetto del ponte e dopo aver gridato alcune frasi aveva gettato il figlio in acqua. I militari avevano poi inseguito l'uomo che si era allontanato a piedi. Dopo un breve inseguimento, era stato bloccato vicino all'ex mattatoio di Testaccio. Le ricerche del bambino erano state affidate al nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco e dei carabinieri che avevano passato al setaccio il Tevere per settimane. Patrizio Franceschelli, disoccupato e con precedenti di polizia, dopo avere litigato con la compagna avrebbe sottratto il piccolo alla nonna. La coppia avrebbe litigato spesso per l'affidamento del figlio. Così, mentre la compagna era ricoverata in ospedale, da via degli Orti d'Alibert era giunto a ponte Mazzini alle 6 del mattino. «Il bimbo era spaventato, piangeva disperato», avevano detto ai militari alcuni testimoni. Proprio in quel momento la guardia giurata ha chiamato il 112 e ha provato a inseguire il padre di Claudio, bloccato poco dopo dai carabinieri.

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