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Se non vengono stranieri c'è il ko

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Il MAXXI, il museo romano dell'arte contemporanea

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L'Italia è uno dei più grandi contenitori culturali del mondo. Oltre a inorgoglirci, questo deve essere un dato capace di creare ricchezza, non di generare costi. Attenti a credere che l'arte e la cultura non debbano farsi contaminare dal mercato, perché così ragionando si cacciano i mercanti fuori dal tempio, con il risultato di ritrovarsi senza soldi e con il tempio che cade a pezzi. Chi abbia dubbi in materia faccia un giro a Pompei. Umberto Croppi ha ragione: i grandi musei, nel mondo, si reggono anche grazie ai soldi pubblici. Ha talmente ragione che, come correttamente ricorda, in alcuni l'ingresso è gratis. Ma non è affatto gratis il passaggio, perché in molti di questi i visitatori lasciano, volontariamente, molti più soldi di quanti non ne costerebbe il biglietto, acquistando oggettistica e ricordi. Non so più quanti cappellini e magliette ho comprato in giro per musei, e me li hanno venduti per far quattrini, mica per diffondere la cultura. L'amministrazione di un museo può essere diseconomica, nel senso di reggersi grazie alle sovvenzioni, ma ciò ha un senso solo se genera economie positive nell'intorno, altrimenti si tratta di fallimenti. Avere collezioni e mostre che attirano visitatori provenienti da lontano significa essere il volano di economie importanti, per il Paese e per la città. La domanda è: quanti visitatori sono arrivati, in Italia e a Roma, attirati dalle mostre del MAXXI? E la risposta non può essere, come incautamente è stata data, che ci sono 800 visitatori al giorno, perché se si tratta di gente che viene dal quartiere, per usufruire dei bellissimi spazi, il risultato è negativo. Come negativo è il bilancio culturale se il museo risulta noto più per l'edificio che lo contiene che per il contenuto esposto. Sono stati gli amministratori del MAXXI a comunicare all'esterno, indignati, che finché c'erano più congrui contributi pubblici essi producevano avanzi di bilancio. Solo che se tali avanzi sono inferiori ai contributi ne deriva che erano i contributi ad essere avanzi. Una tesi autolesionista, sulla quale non insisterei oltre. No, i musei non sono servizi pubblici e non possono essere allineati alla scuola, meno ancora agli ospedali o alle strade (ma che idea bislacca!). Sono beni pubblici, e pubbliche risorse anche quando sono privati. Proprio per questo devono essere amministrati secondo una logica economica e non autoreferenziale. Se s'imbocca quella via va a finire che s'amministra senza minimamente tenere conto dei risultati, anzi, spingendosi a credere che più si perde e più è alto il valore culturale. Tesi ardita. Convengo con Croppi: non ha molto senso parlare del solo MAXXI, perché la questione riguarda tutto quanto il nostro patrimonio artistico e culturale. Ma proprio per questo è dissennato credere che siccome gli italiani sono nati nel posto (da questo punto di vista) più ricco del mondo ecco che devono pagarne il prezzo, accettando che dalle proprie tasse venga tolto un più considerevole ammontare da dedicargli. Ci si aspetterebbe l'opposto: la resa di tale patrimonio consente di vivere in un Paese che attira più ricchezza, consentendo di pagarne meno, di tasse. Tornando a Pompei: si potrebbe consentire a chiunque di entrare gratis, considerate le economie indotte da questo meraviglioso e impareggiabile patrimonio, solo che, invece, lo si tiene chiuso, è difficile raggiungerlo, non ci sono servizi e il sito è abbandonato alla civiltà dei visitatori. Fate entrare i mercanti nel tempio, chiamateli con urgenza, altrimenti cade tutto a pezzi e della purezza culturale resteranno solo le vergognose rovine. Infine, colgo una singolare contraddizione, nelle parole di Croppi: se il museo è statale, come con forza sottolinea, se tutto compete allo Stato, se la fondazione cui è affidato pensava d'essere un'associazione di portieri, utile a chiuderlo e aprirlo, ma non a valorizzarlo, perché mai opporsi al commissariamento? La "proprietà", come egli suggerisce, non fa che riappropriarsene, considerato che i gestori non sono stati capaci di presentare il bilancio preventivo. A me non sembra una bella soluzione, anzi: mi pare una sconfitta. Se gli sponsor fossero stati chiamati non a contribuire alle spese fisse, ma a mettere il proprio marchio su mostre di grande richiamo, guadagnandone in immagine, forse i conti e le cose avrebbero preso una piega diversa. I mercanti finanziarono la gran parte del nostro patrimonio artistico. Magari per vanagloria. C'è molto da imparare, dalla nostra storia.

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