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Slalom in bici tra le baracche dei rom

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Baracche

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Tutto nasce da un tweet. Un messaggino scritto da Gianni Alemanno sul social network Twitter. Il sindaco passeggiava nel suo lunedì di Pasquetta su una pista ciclabile della Capitale, assieme alla moglie Isabella Rauti. Un sopralluogo per dare uno sguardo alla città dal basso, dalla banchina del Tevere. E che ti vede? Decine di baracche accatastate sotto gli argini. Non proprio un panorama adatto a chi si vuole fare una pedalata, magari con figli al seguito. E allora il sindaco, indignato per lo spettacolo indecoroso, ha preso in mano il cellulare, è entrato sul suo profilo Twitter e ha postato: «Sono tornati sul #Tevere gli insediamenti abusivi. Nei prossimi giorni riprendono le operazioni di rimozione e pulizia». E quindi, in attesa di vedere le squadre del Comune ripristinare il decoro, ci siamo fatti un giro tra le piste ciclabili della Capitale. Siamo andati nei punti dove un tempo erano stati già segnalati insediamenti abusivi ed erano stati sgomberati. Risultato: gli accampamenti sono rispuntati come se nulla fosse stato fatto. Del resto, è ormai chiaro, i nomadi che vengono sgomberati prima o poi tornano. Sostano per un mese o due in un'altra zona e tornano. A farne le spese la ciclabilità sulle piste cittadine. Siamo scesi poco prima di Lungotevere Gassman (venendo dal Centro) e abbiamo pedalato lungo il percorso che è al livello del Tevere. C'è un materasso con un po' di cartoni che si può incontrare subito. È sulla destra e invade mezza corsia. Bisogna schivarlo con un piccolo slalom per non inciamparci sopra. Nel momento in cui passiamo non c'è nessuno, ma il sospetto che qualcuno possa dormire lì resta. In ogni caso, è il minimo che si può incontrare. Basta percorrere meno di un chilometro e la pista inizia a curvare all'altezza di Ponte dell'Industria. Lì sotto, appena è visibile il Gazometro imporsi sul panorama dall'altra parte del fiume giallo, si notano degli insediamenti. Non sono sulla ciclabile, ma sul terriccio sotto gli argini. Sono ben visibili e le tende sono senza dubbio abitate, a giudicare dai panni stesi a pochi metri di distanza e un paio di fornellini spenti appoggiati al muro. I ciclisti passano, li notano e proseguono, come se ormai ci avessero fatto l'abitudine. Difficili da notare sono invece i nomadi che «abitano» più avanti. Sotto il Lungotevere di Pietra Papa hanno camminato venti o trenta metri in mezzo ai cespugli e, a un passo dalla riva, hanno montato delle casupole. Sono fatte con tetti di alluminio e pareti di tende. Qui ce ne sono quattro, più un vecchio motorino abbandonato. Di solito chi vive lì dentro esce dalle baracche la mattina e vi rientra solo quando fa buio, per non attirare troppo l'attenzione. Ma qualche ciclista che incrociamo lungo la pista (per un tratto di questo lungotevere è al livello del Tevere e per un altro tratto è su strada) confessa che si vedono dei ragazzini spuntare dalle piante che iniziano a correre verso viale Marconi, probabilmente per chiedere l'elemosina tra semafori e negozi. Ma la situazione di maggior degrado si incontra in zona Magliana. Il primo tratto, che costeggia sempre il Tevere, è delimitato da due «muri» di erbe alte. Meglio non avventurarsi oltre la pista. I ciclisti lo sanno bene. E infatti vanno dritti. Un tempo da queste parti si incontravano anche alcuni ragazzi, probabilmente anche loro nomadi, in sella ai motorini che sfrecciavano sull'asfalto rosso, ormai sbiadito, e bisognava stare attenti a non finire investiti. Adesso non è più così, ma ad attraversare verticalmente la pista ci sono ancora decine di rom che a piedi ogni giorno si spostano dalle baracche per immergersi nella vita di tutti i giorni della città. Anche a questo viavai gli amanti delle due ruote si sono ormai abituati. «Se non gli dai fastidio - ci spiega un ragazzo che pedala da quelle parti - non ti fanno niente. Non sono aggressivi, anche perché hanno capito che la loro permanenza lì dipende proprio da quanto fanno alzare la protesta della gente. Certo, sarebbe meglio che qualcuno li acchiappasse e li portasse nei campi rom che il Comune ha costruito, anche per una loro dignità oltre che per una sicurezza di noi ciclisti che vorremmo portare con noi i figli». Altro caso clamoroso è via del Cappellaccio. Su una pista dove la manutenzione è quasi nulla abbiamo incontrato un signore che camminava sereno con un carrello della spesa contenente mobili e ferraglia di vario tipo. L'abbiamo seguito ed è finito in un accampamento rom di media dimensione. Sei o sette baracche con servizio pullman incluso. Nel senso che, mentre eravamo lì, un furgone ha fatto più volte avanti e indietro caricando a bordo delle persone. Di insediamenti così le piste ciclabili sono piene. Scene simili si ripetono sotto gli argini di Testaccio o dall'altra parte di Roma, a lungotevere della Vittoria. Da sbaraccare e ripulire ce n'è per giorni.

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