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La questione-benzina rappresenta ormai per gli italiani un nervo scoperto.

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Perquesto la notizia delle irregolarità riscontrate dalla Guardia di Finanza, in tempi di crisi, colpiscono nel vivo i cittadini. Le associazioni di categoria, ieri, si sono affrettate a precisare che la categoria è sostanzialmente sana e che non si può criminalizzare solo per poche mele marce, ove vengano scoperte. Oltre alla Federazione benzinai, è scesa in campo quella nazionale dei Gestori Impianti Stradali Carburante: «Desidero esprimere la massima fiducia nel lavoro che sta svolgendo la Guardia di Finanza, ma mi auguro che non si arrivi a criminalizzare un'intera categoria per fatti ancora da accertare e da chiarire nella loro interezza», ha dichiarato il presidente dei giovani della Figisc-Confcommercio, Alessandro Micheli. «Va sottolineato - ha precisato Micheli - che i distributori non sono di proprietà del gestore, ma vengono sottoposti a tarature, verifiche e bollature effettuate dalla Camera di Commercio, così come le manutenzioni degli stessi sono affidate a ditte terze dalle Compagnie petrolifere. Ci auguriamo che vengano fatte al più presto tutte le verifiche necessarie per capire se le anomalie riscontrate rientrino in una normale e fisiologica staratura di un misuratore regolarmente tenuto o se, invece, siano subentrate responsabilità dei singoli». Micheli sottolinea anche che la categoria è «già fortemente provata dalle attuali condizioni di mercato, segnate da una contrazione dei consumi sempre maggiore e da margini di guadagno già esigui, sempre più erosi da alte esposizioni finanziarie, dall'impossibilità di accesso al credito, da rapporti contrattuali con le Aziende petrolifere fermi da anni», ha concluso. Il problema è che, se si tratta di mele marce, come nessuno dubita, non sono poche. I precedenti, infatti, sono numerosi. E anche lontani nel tempo. A metà maggio del 1996 cinque persone vennero arrestate con l'accusa di associazione a delinquere, truffa e contraffazione di sigilli e 30 colonnine vennero sequestrate nella Capitale. Secondo l'accusa, raddoppiavano gli utili truffando gli automobilisti grazie a un piccolo marchingegno che consentiva di erogare meno benzina di quella pagata. Erano tutti dipendenti di società che si occupavano della manutenzione dei distributori e «rubavano» dal 5 al 12 per cento del carburante che sul display della colonnina compariva come erogata. I distributori sequestrati si trovavano sia sulle grandi vie consolari della capitale, che sulla tangenziale, sul raccordo Roma-L'Aquila e a Fiumicino. Il giro d'affari si aggirava tra i 2 e 4 miliardi di lire all'anno. Il marchingegno era collegato con un filo al gabiotto in cui in genere si trova il benzinaio e veniva azionato al momento ritenuto opportuno. L'inchiesta proseguì e si allargò: nell'ottobre del '97 trentaquattro persone coinvolte nella truffa vennero rinviate a giudizio. Era, infine, «solo» lo scorso 26 gennaio quando le Fiamme Gialle scoprirono una serie di irregolarità, come prezzi reali del carburante più alti di quelli indicati, assenza di indicazioni nelle stazioni di servizio, pompe di benzina manomesse, «inghippi» contabili. I finanzieri controllarono 124 esercizi e riscontrarono 29 situazioni non in regola. Red. Cro.

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