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Rapina in gioielleria. Presa una «pantera rosa»

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Scovato un montenegrino della gang internazionale. Tradito da un'impronta digitale

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Èstato arrestato uno dei tre rapinatori del colpo da un milione e mezzo di euro messo a segno il 1° febbraio scorso alla gioielleria «Roberto Coin», in Centro. È il montenegrino Marianovic Mitar, 60 anni, membro delle «Pink Panthers» (Pantere rosa), una banda di slavi, molti ex militari, nota alle polizie di tutto il mondo per aver firmato ricchi colpi in vari Paesi:Svizzera, Giappone, Emirati Arabi e Francia. Gli uomini della Squadra mobile di Vittorio Rizzi lo hanno scovato nella sua casa a Capannelle. Da investigatori e giudice (che ieri ha convalidato il fermo) è ritenuto l'organizzatore della rapina in via Vittoria, a due passi da piazza di Spagna e piazza del Popolo, in una gioielleria già salita alle cronache per avere tra i suoi clienti star del cinema di Hollywood come Sharon Stone e Nicole Kidman. Quella mattina avevano agito in tre. Secondo la ricostruzione della Mobile, Mitar faceva da palo in strada, nell'auto Aygo bianca vista da alcuni commercianti, accanto e di fronte alla gioielleria. Gli altri due, invece, giovani e ben vestiti, erano entrati nel locale. Presenti la direttrice e una commessa. I due avevano chiesto: «Parlate inglese?». D'improvviso si erano mostrati per quello che erano. Armati, si erano fatti aprire la cassaforte dalla titolare, poi avevano legato i polsi alle due usando fascette di plastica. Tenendosi lontani dalle vetrine, avevano arraffato i monili in oro custoditi nel forzierie e li avevano messi in sacchetti di plastica, lasciandone però uno nel locale. L'elemento che ha incastrato il montenegrino: la polizia Scientifica ha trovato un'impronta digitale del bandito, che evidentemente aveva maneggiato l'involucro prima della rapina. I due non avevano voluto lasciare tracce e avevano portato via l'hard disk del sistema di videosorveglianza dov'erano registrate le immagini della rapina. Quindi la fuga. Dapprima in tre. Successivamente separati. Mitar da una parte, finito in un negozio più avanti per comprare una borsa alla figlia e per darsi un alibi. I due da un'altra, a bordo di un motorino. Ma non tutto era filato liscio. Nei pressi di piazza del Popolo avevano rischiato di finire contro l'auto 8222 di Mondo Taxi. Il bandito seduto dietro aveva perso parte del bottino caduto dal sacchetto: valore oltre 100 euro. Catenine, bracciali e altri accessori in oro avevano ancora il cartellino attaccato: oreficeria «Roberto Coin». Il tassista era sceso in strada e aveva raccolto i preziosi chiedendosi quale fosse la provenienza. Alle 14 circa il mistero era risolto. Consegnato il malloppo agli agenti del Commissariato Aurelio, il conducente aveva appreso che la sua buona azione era stata molto di più: un recupero di refurtiva che probabilmente poteva portare a identificare le due «pantere rosa». La sezione Antirapine di Andrea Di Giannantonio ha avuto vari indizi per cominciare a stingere il giallo del colpo alla oreficeria di Hollywood, nel cuore di Roma e in pieno giorno, in una stradina supersorvegliata dalle telecamere. Mosse di una partita a scacchi in cui i balordi avevano già sfidato il re. La busta di plastica con le impronte digitali ha fornito nome e cognome di chi le ha lasciate. Ma soprattutto ha indicato la porzione di mondo criminale dove andare a cercare gli altri. Marianovic Mitar è stato trovato e arrestato. Adesso mancano gli altri due. Di Giannantonio conosce bene le Pantere rosa. E può darsi che loro conoscano bene anche lui. Infatti non è la prima volta che le strade del poliziotto e della banda internazionale s'incrociano. Nel maggio 2010, a Trastevere, il dirigente coi suoi uomini mise le manette a un'altro sodale della gang. Un montenegrino di 40 anni, considerato «primula rossa» dell'organizzazione. L'Interpol era da tempo sulle sue tracce. Ma non aveva ancora trovato la sua tana. La Mobile era stata allertata e gli investigatori si erano dati da fare. Appostamenti, pedinamenti: alla fine gli investigatori trovarono «le impronte» della «pantera». Seguirono la sua donna, la videro entrare in un bar di Trastevere e arrivarono a lui. Era in possesso di un passaporto croato contraffatto, ma i poliziotti non ebbero dubbi sulla vera identità del rapinatore, troppo somigliante alle foto che giravano negli uffici di polizia di tutto il mondo. Per qualcuno gli «errori» commessi dalle tre «pantere» nel colpo di via Vittoria portano a pensare che forse non si tratta dei famigerati slavi ma di qualche apprendistra.

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