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Dalla Cassazione la verità sul delitto Sandri

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Ilfatto infiammò la protesta dei tifosi in tutta Italia e ci furono disordini da Bergamo a Taranto. Il bilancio a Roma fu pesante: il quartiere Flaminio devastato, assaliti commissariati e caserme, giornalisti e fotografi, la sede della Rai e il Coni. A decine si contarono i carabinieri, i poliziotti e i vigili rimasti feriti negli scontri che furono dei veri e propri assedi. Per motivi di sicurezza il Viminale - allora guidato dall'ex ministro Giuliano Amato - decise di far giocare lo stesso le partite ma questa scelta non riuscì a evitare lo scatenarsi della rabbia dei supporter di ogni «fede». Solo a Milano, dove si doveva giocare Inter-Lazio, la partita alla quale stava andando Sandri con altri quattro amici, si scelse di rimandare l'incontro: i calciatori non se la sentirono di scendere in campo. Nel 2009, in primo grado ad Arezzo, l'agente che aveva sparato da grande distanza e senza che ve ne fosse bisogno venne condannato a sei anni di reclusione per omicidio colposo con colpa cosciente. La decisione fu accolta dalle proteste dei familiari e degli amici di Sandri che sostenevano che il poliziotto era consapevole del rischio di poter uccidere qualcuno. Poi a dicembre 2010, la Corte d'assise d'appello fiorentina ha inasprito la condanna a 9 anni e 4 mesi di reclusione, come chiedevano le parti civili, riconoscendo Spaccarotella colpevole di omicidio volontario.

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