Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

«L'ha sbattuto per terra e gli gridavamo fermati»

default_image

Vane le ricerche dei sommozzatori dei carabineri «Lo abbiamo cercato come fosse il nostro bimbo»

  • a
  • a
  • a

C'eranoghiaccio e neve. L'abbiamo visto perdere l'equilibrio. È caduto, e il bambino gli è sfuggito dalle braccia ed è finito a terra sbattendo la testa». Continuano a ripetere la scena agghiaggiante come se la rivedessero, i romani che ieri mattina hanno assistito al lancio del bambino nel Tevere. Erano usciti verso le 6.30 per fare una bella passeggiata su Ponte Mazzini con la neve ancora immacolata. E sono diventati testimoni di un incubo. Che non è ancora concluso. Purtroppo il corpicino del bambino non è stato ancora ritrovato dai carabinieri del Nucleo Subacqueo comandato da Renato Solustri. Una cosa che ha distrutto il morale degli otto "angeli neri", così si chiamano in gergo i sommozzatori di questo Nucleo per via del colore della muta. Sono il "braccio bagnato" del Ris, perché sono loro che affiancano, quando serve, i militari sulla scena del crimine. Hanno scandagliato il fiume per ore e ore, fino alle cinque del pomeriggio, alla disperata ricerca del piccolo corpo. I primi ad arrivare sono stati i sommozzatori dei vigili del fuoco. A Roma sono 30. Mentre quelli dei carabinieri sono 10 per tutta la regione. Ieri otto dei dieci "angeli neri" erano reduci da un intervento in provincia di Latina per un presunto omicidio. Sono riusciti a tornare alla base, coi mezzi di fortuna, visto le condizioni delle strade innnevate, richiamati a Roma proprio per cercare il corpo del bambino. Un lavoro che ha sgomentato anche uomini avvezzi a cercare e trovare di tutto. «Lo abbiamo cercato come fosse stato un figlio nostro, col cuore» dice rattristato il comandante Renato Solustri, 50 anni, ma solo sulla carta d'identità, perché il lavoro di squadra, una vita sana e valori solidi rendono giovani. Ma non sarebbe stato facile nemmeno se avessero riportato in superficie quel corpicino. «Se lo avessimo trovato - ammette il comandante Solustri - mi sarebbe di certo preso un "coccolone", glielo avevo detto ai ragazzi: "statemi vicino perché non so stavolta come potrei reagire"». Il lavoro è iniziato alle 8.30 del mattino. «Eravamo in provincia di Latina, al lavoro su un presunto omicidio - racconta il comandante - lo sa solo Dio come siamo riusciti ad arrivare a Roma con le strade di questi giorni». Ma alle cinque del pomeriggio gli otto "angeli neri" hanno dovuto arrendersi. «Abbiamo dovuto sospendere le ricerche perché i nostri ragazzi andando sul fondo hanno trovato una grossa corrente - spiega Solustri - Questa corrente portava via anche noi, 80-90 chili di peso corporeo non reggevano. Figuriamoci cosa ha fatto sul corpicino di un bimbo avvolto in pannolini». In quel tratto non c'è più. «C'è un grosso masso sotto al ponte che è stato visionato, le nostre condizioni di lavoro sono estreme, nel senso che si procede in maniera tattile, cioè a tastoni, a mano, era completamente buio, fino a un paio di metri si vedeva un po' di luce, dopodiché buio totale, c'è la melma e le torce sono inefficaci». I sommozzatori hanno scandagliato al millimetro sotto la prima arcata, alla destra del fiume Tevere, dove è stato lanciato il bimbo, da Ponte Mazzini. «Poi abbiamo considerato la perpendicolare del ponte, per andarci a togliere qualsiasi dubbio nel caso fosse caduto come un piombo, il che è inverosibile. Ma per toglierci lo scrupolo l'abbiamo fatto. Poi abbiamo proeseguito la ricerca per un centinaio di metri verso valle, trovando sempre le stesse difficoltà dovute alla corrente. Consideri - prosegue - che nel fondo del fiume al di la dei massi non c'era nulla, qualsiasi oggetto che si fosse trovato sul fondo sarebbe stato portato via sicuramente». E il fondo infatti è stato trovato privo di oggetti estranei al fondale, solo rocce. Il corpo trascinato dalla corrente potrebbe essere rimasto impigliato in qualche anfratto. «Potrebbe essere all'isola Tiberina, dove ci sono le rapide. La ricerca comincerà a essere solo visiva cioè di superficie, cercando di andare a vedere se il corpicino sia impigliato e trattenuto in qualche anfratto. Le lesioni subite durante la caduta inoltre, comportano una fase molto più repentina di decomposizione, e questo lo porterà a galla». Per salvare il bambino serviva solo il miracolo. «Il bambino aveva già ferite procurate dalla caduta per terra - ricorda Solustri -. Pensiamo poi che il bimbo è stato lanciato dal ponte. L'impatto con l'acque e lo choc termico bastano da soli ad ucciderlo». Oggi riprendono le ricerche. «Andremo verso la foce. E risaliremo il Tevere scandagliandolo a vista». Col rischio che gli animali che popolano gli argini siano arrivati prima.G. M. Col.

Dai blog