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Sulle due borse rubate le impronte dei killer

Padre e figlia uccisi a Roma, l'ambasciatore cinese Ding Wei visita la madre Zengh Lia

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Avrebbero lasciato le loro impronte digitali i due rapinatori-killer responsabili del duplice omicidio di Tor Pignattara, alla periferia di Roma. I carabinieri le avrebbero rilevate sulle due borse ritrovate l'altro ieri sera in un casolare abbandonato in una baraccopoli di romeni in via Ettore Fieramosca, a Casal Bertone. Quindi, mercoledì sera i due malviventi non avrebbero agito con le mani coperte dai guanti. In via Giovannoli, intorno alle 22, quando hanno aggredito la famiglia cinese - il padre Zhou Zeng di 31 anni con in braccio Joy, la piccola di nove mesi, e la madre Zheng Lyan, ventiseienne - avevano il volto travisato dai caschi da motoclista ma le mani nude con le quali hanno strappato la borsa di lui contenente i 15 mila euro e, col taglierino, hanno tranciato la tracolla di quella di lei, ferendola a braccio destro e torace. Una scena violenta durante la quale i due cinesi si sono ribellati. Ma culminata col tragico colpo di pistola che ha ferito alla nuca a morte la piccola Joy, trapassandole la testa e conficcandosi nel petto dell'uomo che la teneva in braccio. I carabinieri hanno inviato ai colleghi del Ris i motorini trovati durante i controlli. Si tratta di una decina di due ruote rubati. Uno di questi potrebbe essere quello usato per la fuga dagli aggressori. Le impronte digitali saranno messe a confronto con quelle rilevate sulle borse. Ieri mattina all'ospedale San Giovanni la cinese è stata ascoltata dai carabinieri del Nucleo investigativo di via In Selci, diretto da Lorenzo Sabatino e coordinato dal comandante del Reparto operativo Salvatore Cagnazzo. È stato un incontro breve, di pochi minuti, e informale. Cioè non verbalizzato. Lyan è ancora sotto choc. È in cura dallo psichiatra dell'ospedale, non è ancora pronta per essere sottoposta a interrogatorio da parte del pm De Gregorio che con il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani conducono l'inchiesta. Lei ha riferito che i due balordi «parlavano in italiano o comunque dall'accento potrebbero essere dell'Est europeo». Un identikit che non restringe il cerchio delle indagini ma lo allarga al di là dei confini nazionali. Se le parole della donna fossero confermate dalle indagini il rischio è che i due ricercati possano aver già abbandonato l'Italia. Spariti dalla circolazione per cercare di far perdere le proprie tracce. Un tentativo che in parte mise in pratica una delle due belve romene responsabili dello stupro dei fidanzatini nel parco della Caffarella, a Roma, il 14 febbraio 2009: uno era a Trieste, l'altro nella Capitale. E un mese prima, a Guidonia, nel circondario della Capitale, lo stesso era pronto a fare il branco, sempre di romeni, che a turno violentò una ragazza e rinchiuse il fidanzato nel bagagliaio dell'auto. Uno di loro disse al complice: «Nasconditi, non farti vedere alla finestra... e poi via, via, fuggiamo prima Padova poi più su». E scattò il blitz dei carabinieri. Ora c'è la stessa febbre investigativa. Il comandante provinciale Maurizio Detalmo Mezzavilla sta chiedendo il massimo ai suoi uomini per arrivare presto alla soluzione del giallo diventato anche un caso diplomatico. Stavolta infatti a sollecitare l'arresto dei due assassini è stata anche l'Ambasciata cinese. Ma non è semplice. Per cui gli investigatori non vogliono tralasciare alcuna pista. Anche se la famiglia cinese distrutta dall'aggressione è descritta dai residenti della zona come ben integrata, di lavoratori e anche simpatici, i carabinieri vogliono far luce pure sulle attività economiche dei due coniugi cinesi. Lei - con le due sorelle e il fratello - gestiva il bar gastronomia che si trova in via Antonio Tempesta ad angolo con via Casilina, circa otto anni fa acquistato dai vecchi proprietari romani. E poi vogliono valutare a fondo il lavoro di lui, titolare di un money transfer in via Bordoni, a poca distanza dall'abitazione e dal bar. I soldi abbondanati dai rapinatori-killer erano nella borsa dell'imprenditore, probabilmente provenivano dal money tranfer e non dal bar. Altri tremila euro li aveva in una tasca del giubbetto che gli è rimasto indosso. È assai probabile che i due aggressori fossero clienti del bar e già da un po' tenessero d'occhio la coppia. Controllavano le loro abitudini, gli orari. E quindi quella sera abbiano pensato di rapinare un bottino facile. Le cose invece sono andate diversamente. Hanno ammazzato due persone e hanno abbandonato i soldi. Forse perché hanno realizzato quello che hanna fatto e che a Roma non ha precedenti: hanno ucciso anche una bimba di nove mesi. Oppure sono stati molto più crudeli e calcolatori: non si tratta di tossici, hanno tolto gran parte della somma che la borsa conteneva e l'hanno fatta ritrovare cercando di sviare le indagini facendo credere che invece si tratti di rapinatori diventati anche assassini ma per uno sbaglio fatale, per un colpo di pistola partito per errore. La Comunità orientale si sente sotto minaccia. Ne ha parlato il presidente onorario dell'associazione Associna, Marco Wong: «Alcuni commercianti hanno ricevuto telefonate minatorie:"Se non volete fare la fine di quei due, ora pagate il pizzo». E lo hanno riferito cinesi di Tor Pignattara. Alla fine dello scorso anno, i comandanti delle stazioni dei carabinieri delle zone dove si concentrano le presenze di operatori cinesi si sono incontrati con la comunità orientale proprio per dare ascolto al loro allarme.

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