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"Aprite la porta, ci uccidono"

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Violenze durante il corteo degli indignati, manifestanti si barricano nei negozi

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«Fateci entrare, qui ci uccidono». Hanno capito che potevano andarci di mezzo, restare feriti, che la guerriglia li avrebbe travolti ed hanno guardato al porto più sicuro: la Basilica di San Giovanni. Erano passate da poco le 17. Il panico ha contagiato tutti quando le teste calde del corteo si sono scatenate con sassaiole e lacrimogeni. I manifestanti hanno iniziato ad accalcarsi ai margini della strada, cercando riparo sotto gli alberi, sotto i cornicioni. Troppo pericoloso. Così si sono diretti in massa verso le transenne che circondavano il piazzale antistante la Basilica. Poi hanno raggiunto le cancellate. Chiedevano aiuto ammassati fuori dal Vicariato. «Fateci entrare, noi non abbiamo nessuna colpa, aiutateci». È il caos. I manifestanti pacifici si ritrovano in una morsa, tra i violenti, le cariche della polizia e la Basilica. Alla fine riescono a scavarsi un varco. Dopo qualche minuto di suppliche, il Vicariato finalmente apre i cancelli, consentendo così a centinaia di persone di trovare riparo in chiesa. Il Vaticano aveva dato precise indicazioni: aiutate i manifestanti. Anziani, famiglie, bambini tirano un sospiro di sollievo. Blindati dentro, cullati da paura e sconcerto, guardano attoniti la guerriglia che ha trasformato San Giovanni nell'emblema della piazza violenta e sassaiola. Chi è dentro aspetta che la situazione si calmi oppure lascia il Vicariato dall'ingresso posteriore verso l'obelisco, chi deve ancora raggiungere San Giovanni inverte la marcia ed abbandona il corteo. Scappano, corrono lungo via dei Fori Imperiali per ritrovare pace nei pressi del Colosseo. Solo quando vedono il fumo lontano, troppo lontano da loro per rappresentare una minaccia, si fermano: «Abbiamo avuto paura e siamo corsi via, il più lontano possibile - tremano ancora Silvia e Davide, due ragazzi romani, pacifisti, loro - Non capiamo come sia possibile che a cortei come questi, fatti da brave persone, pertecipi gente con le mazze e le bombe carta». Hanno anticipato il ritorno verso casa anche Giulio e Giorgia: «Arriviamo da Siena, ma è stata una delusione», allargano le braccia stringendo la bandiera della pace, ormai accartocciata nello zainetto. La chiesa come porto sicuro nella tempesta. Anche don Francesco ha aperto le porte della parrocchia di Santa Maria dei Monti, in via dei Serpenti, quando i «cattivi» hanno sferrato l'ennesimo attacco. Questo nel primo pomeriggio, intorno alle 14. Macchine incendiate, le vetrine della banca Carim di Rimini in frantumi, lacrimogeni e bombe carta: mentre chi era rimasto intrappolato in via Cavour si proteggeva la testa con le mani, accovacciandosi a terra, dietro i bidoni in ferro, don Francesco ha accolto i tanti, turisti e cittadini, braccati da fuoco e sassi. Chi parlava al cellulare, chi mangiava wurstel, chi riprendeva con la telecamera il volto gelato dall'incredulità dei «compagni di sventura». «Dovrei celebrare un battesimo - è scosso don Francesco - ma i genitori non riescono ad uscire di casa, nel frattempo offrire riparo a queste persone mi sembra il minimo. Prima di entrare qui, quei delinquenti devono passare sul mio corpo». E una ferma condanna al segno di «blasfemia e profanazione» dopo l'irruzione nei locali della parrocchia dei Santi Marcellino e Pietro, tra via Labicana e via Merulana, è arrivato in serata anche dal Vicariato di Roma. Il cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa, ha espresso «preoccupazione nella speranza che si possa tornare alla civile convivenza».

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