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Viaggio nella Cloaca Maxima

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Viaggio nella Cloaca Maxima (Foto Gmt)

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Lo sanno tutti, pietre comprese, che la grandezza di un popolo si misura anche dalle sue fogne. E i romani, se c'era una cosa che sapevano fare proprio bene, era portare liquidi da una parte all'altra della città. La Cloaca Maxima ha resistito al tempo più del Colosseo, depredato dei suoi preziosi travertini. La Cloaca, budello della repubblica e dell'impero, non è stata profanata. Sacra, come le viscere dei polli degli auruspici che narravano il domani ai romani, oggi racconta agli archeologi quel passato che templi, basiliche e ninfei ricordano solo in parte. «Un filo rosso lungo più di duemilaseicento anni», sottolinea Luca Antognoli, guida di Roma Sotterranea che ci accompagna in questo viaggio nel tempo dall'epoca di Tarquinio Prisco fino a Gianni Alemanno. Bardati come palombari di lattice, sotto lo sguardo curioso dei turisti che scattano cartoline da via dei Fori Imperiali, ci caliamo lungo una scala di 6 metri. Il tombino di ingresso è nel foro di Nerva. Sotto si sente scorrere il torrente. Scendiamo. Gli stivali affondano fino alle cavaglie e poi sprofondano delicatamente al polpaccio nei sedimenti. Oltre la tuta di gomma l'acqua è fresca. In superficie la temperatura è oltre i 30 gradi centigradi e la sensazione è piacevole. Peccato che le mascherine non riescano a fermare l'odore. La Cloaca resta pur sempre una fogna, la regina delle fogne, con il suo esercito di sudditi pelosi che nuotano nel buio esplorando spiaggette di detriti ai lati del canale. Con i suoi 4 metri di larghezza per altrettanti in altezza nei tratti domizianei e vespasianei, potrebbe ospitare un treno della metropolitana. La parte che esploriamo si snoda dalla Torre dei Conti di via Cavour fino alla Basilica Emilia. La dottoressa Elisabetta Bianchi, voce narrante e responsabile del sito archeologico per il Comune, veste i panni della Venere Cloacina, antica protettrice di questa maestosa opera di ingegneria idraulica. È lei a spiegare, mentre si procede verso via Cavour, come la Cloaca abbia registrato i cambiamenti dell'area dei fori, da umile fosso per raccogliere l'acqua che scendeva giù dai colli, a galleria sotterranea. Amnis Petronia, Spinon e Nodinus sono solo tre dei torrenti che rendevano l'area insalubre e paludosa. Le frequenti piene del Tevere facevano il resto.   La Cloaca nasce quindi nel 616 a.C. come prima opera di bonifica per volere di Tarquinio Prisco e più tardi del settimo ed ultimo re Tarquinio il Superbo. Ma solo con il console Marco Vipsiano Agrippa, la Cloaca sarà coperta e allacciata alle fogne secondarie della Suburra, del Circo Massimo e del Velabro, prendendo il nome di Maxima. La strada per il Tevere, dove si getta attraverso un arco di marmo peperino ancora visibile tra ponte Emilio e il tempio di Ercole, è stata sbarrata nell'800 e le acque convogliate nel grande collettore sul lato sinistro del fiume. Nel 1890 l'ingegner Narducci, incaricato di redigere una mappatura completa del sistema fognario cittadino, esplora per la prima volta l'opera svuotandola dei sedimenti che si erano accumulati in due millenni, durante i quali la Cloaca non ha mai smesso di funzionare. Il poco spazio a disposizione tra la volta e i sedimenti avava fatto perdere all'opera la capacità di trasportare l'acqua piovana nei mesi più piovosi. Oggi il sedimento raggiunge il metro di spessore, anche se in alcuni punti è possibile calpestare l'originario basamento in travertino. In questo ambiente privo di luce, muffe e funghi colorano in forme bizzarre le pareti di tufo, peperino e mattoni. Sul sedimento un tappeto rosso di batteri indica la strada da seguire. I ratti, a cui cediamo il passo, fanno capolino dalle fogne affluenti e dai buchi lasciati dalle travi utilizzate per costruire la volta della galleria. L'attuale percorso della Cloaca è tutto un zigzagare intorno alle fondamenta di templi e basiliche, "bypassando" il tracciato originario. Tra curve a gomito, deviazioni e angoli retti la volta s'alza e s'abbassa pur mantenendo una pendenza costante di 4 gradi, fino a dividersi in due gallerie parallele per sopperire alla minore altezza. In questo tratto i liquami fetidi arrivano quasi al collo e le esalazioni dei gas rilasciati dai sedimenti smossi fa girare la testa. È ora di tornare in superficie. Abbiamo ricevuto il battesimo della Cloaca.

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