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Sgominata la banda dell'Arancia meccanica

Una volante della polizia

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Era la banda dell'Arancia meccanica. I balordi irrompevano nelle abitazioni col volto travisato, armati di pistole, coltello e cacciavite, violenti contro i proprietari per sapere dove fosse la cassaforte coi soldi, crudeli fino alla tortura se la vittima esitava a parlare, come costringerla a una doccia d'acqua bollente. Ieri mattina nei loro quartier generali nelle zone di Borghesiana e Primavalle-Boccea, trecento uomini della Questura hanno arrestato nove albanesi accusati di aver messo a segno dall'inizio dell'anno sei tra rapine, furti e aver ricettato varia refurtiva, come quella proveniente dai raid di fine settembre 2009 nelle case di Renzo Arbore e dell'ex calciatore Beppe Signori. Il sospetto è che il totale si avvicini alla sessantina di assalti. In campo un esercito: le sezioni Antirapina di Andrea Di Giannantonio e Criminalità diffusa di Mario Spaziani, l'Anticrimine, elicotteri, gli uomini del I Reparto mobile coordinati dal commissario Massimo Improta, oltre ai colleghi di Casilino e Primavalle. Gli uomini della Squadra mobile di Vittorio Rizzi hanno stabilito un legame tra i vari colpi, nella Capitale e anche fuori regione. Avvenuti tutti con lo stesso modus operandi e la medesima firma: «La violenza gratuita», scandisce Rizzi. Una determinazione che andava al di là del valore dell'obiettivo. Stando alle indagini divise in tre tronconi giudiziari (due a Roma, uno a Pesaro), non c'era inferriata o serratura che potesse fermare la banda. A casa di uno dei componenti, gli investigatori hanno trovato una chiusura europea sulla quale si esercitavano. Una volta entrati, col viso coperto da passamontagna, svegliavano i presenti, li tenevano fermi schiacciando loro il petto con le ginocchia, obbligandoli ad aprire il forziere coi soldi. Fatto il colpo, spesso fuggivano portandosi via l'auto della vittima. Questo il calendario dei delitti. Nove marzo 2011, via Alberto Mario, a Monteverde: in quattro armati di pistole e forbici irrompono in casa di un avvocato. Lo picchiano portando via denaro e orologio di valore. 12 giugno, via Canazei (Castel Porziano): entrano in tre nel giardino della villa, il proprietario si sveglia e viene minacciato con una spranga di ferro. Dopo la razzia il terzetto fugge sulla sua Audi. Il giorno dopo, in una villa di Fiano Romano: i balordi sono cinque, aggrediscono i domestici portando via preziosi, due pistole Smith & Wesson e il suv Bmw. 18 giugno: ancora tre rapinatori. Col volto coperto, picchiano le vittime portando via gioielli e Rolex. 19 del mese, via Marzabotto (Fano): alle 21.10, ancora in tre e solito copione. Stavolta il capo famiglia non dice subito dov'è la cassaforte. Lo torturano sotto la doccia bollente, colpendolo anche col calcio della pistola. Bottino, seicento euro. Stesso giorno, due ore dopo, in via Flavia, a Spoltone (Pescara): all'1.30 circa i tre calzano guanti e passamontagna, legano i proprietari, svuotano la cassaforte fuggendo sulla Mercedes di casa. Tra un colpo e l'altro c'è il ferimento degli agenti. La notte del 24 maggio, intorno alle 4, gli investigatori tallonano i rapinatori, organizzano un posto di blocco a Lenola (provincia di Latina). I balordi sono su una potente Audi. Speronano le vetture e poi ne spingono una con a bordo anche il dirigente dell'Antirapina Andrea Di Giannantonio e la scaraventano in una cunetta. La vettura prende fuoco in 30 secondi, i poliziotti sono riusciti a salvarsi per miracolo. Il dirigente se l'è cavata con otto punti di sutura sotto al mento, due agenti sono ancora malconci.

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