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"Non volevo offendere"

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La scritta

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«Non volevo offendere. Se l'ho fatto, mi scuso». A parlare è l'autore dell'ignobile scritta. Quella che è apparsa lunedì mattina, 25 aprile, nel quartiere Pigneto, a Roma, e che ricalca l'orribile insegna che «accoglieva» i deportati nel campo di sterminio di Auschwitz: «Il lavoro rende liberi». L'originale era in tedesco, la sua è in inglese. Poco cambia. L'Italia ha rabbrividito, alcuni volontari hanno smontato la scritta e lui s'è ritrovato sotto lo tsunami di condanne. Eppure, dice lui, non si aspettava tanto caos. L'intento era un altro. L'autore, che decide di restare nell'anonimato, è un artista di 32 anni originario di Lucca. È precario, insegna Grafica e fa corsi di formazione ai disoccupati. «Ma quale Olocausto? Non scherziamo - dice in un'intervista di Luca Telese e David Perluigi al Fatto Quotidiano - Se c'è uno che odia il nazismo sono io. Sono un artista che ha voluto aprire un dibattito, non posso e non voglio essere confuso con teppisti e fanatici». Impresa difficile, visto il metodo col quale voleva diffondere le sue idee. L'artista spiega: «Volevo che guardando questo cancello, installato in una periferia, abitata da giovani precari ed extracomunitari oggi diventati clandestini, tutti riflettessero sul fatto che un pezzo di lager è nelle nostre città, mentre noi ce ne passeggiamo spensierati». Il precario racconta di aver voluto dare un segnale contro il mondo del precariato e più in generale far riflettere la cittadinanza sul problema del lavoro. Il risultato è stato però di altro tipo: un rigurgito nazista. Lui racconta di aver voluto distinguere la sua scritta con quella installata in Polonia durante la Seconda guerra mondiale: una è in ferro battutto l'altra è formata da tubi industriali, una è in tedesco l'altra in inglese, poi i caratteri con cui è stata formata hanno un font differente. Ma le argomentazioni non possono spostare il giudizio sulla sua installazione. I paragoni «difficili» dell'artista trentenne continuano, nell'intervista al Fatto Quotidiano. «Non vorrei commentare» il coro di condanna da parte dei politici. «Il sindaco (Alemanno, ndr) che ha deportato i romeni, e ha diviso i padri dai figli, è lo stesso che rilascia dichiarazioni indignate contro il neonazismo e mette al primo posto le politiche per la famiglia. Chi sbaglia, io o lui?», si chiede un istante prima di essere bacchettato per aver accostato la Shoah alle parole di un sindaco. Eppure, nonostante le critiche e le scuse offerte a chi si è sentito offeso, l'autore della scritta del Pigneto sembra convinto di essere sulla strada giusta: «Adorno ha detto che dopo Auschwitz fare arte è diventato impossibile. Volevo esprimere questo sentimento di ironia amara e disperata, anche estrema, per far riflettere sulle condizioni di schiavitù e privazione dei diritti che abbiamo accettato come inevitabili. L'arte, per come la penso io, ha il dovere di sollevare problemi e suscitare dibattiti».

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