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La discesa negli Inferi inizia nel lago di Nemi

Il lago di Nemi

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NEMI Una rivoluzione copernicana celata tra le righe di Dante e dietro la figura di Diana, «grande madre di tutti gli esseri viventi» e dea della caccia votata a nutrire i propri figli. La celebre «selva oscura» di Alighieri esiste veramente e si trova nel Nemus, il bosco circolare che sorge sulla Valle del lago di Nemi, un tempo sacro a Diana. È la tesi avvincente dell'architetto genzanese Giuliano Di Benedetti che dopo vent'anni di studi, ha individuato il luogo che ha ispirato i celebri versi danteschi, attraverso un collage di testimonianze storiche, simbologie mitiche, sacre, religiose e fenomeni scientifici. Secondo Di Benedetti, dal Nemus, circa 35 mila anni fa, si sarebbe originata l'umanità, in un lembo di terra rimasto immune all'Era glaciale. Il ghiaccio, infatti, avrebbe lasciato illesi i lecci e i castagni del bosco. Da qui la consacrazione alla dea della fertilità. La dimora di Diana, circolare come la testa del bimbo che nasce all'interno del cratere di un vulcano che per millenni ha custodito il mistero di due navi romane. Il calore emanato dal territorio vulcanico avrebbe fatto sopravvivere gli alberi. Una ricerca italiana dimostra che circa 35 mila anni fa non era presente polline di alberi ad alto fusto nel sud della penisola. Ma se si facessero dei carotaggi nel lago di Nemi fino ad arrivare al substrato che ci interessa si potrebbe avere la prova scientifica della presenza di polline. Questa teoria, è avvalorata anche da studi raccolti dall'autore di Genzano in due volumi pubblicati nel 2008 e nel 2010 editi da Ventucci. «Sono partito dalla monumentale opera "ramo d'oro" dell'antropologo James George Frazer - racconta Di Benedetti - L'autore narra la vicenda del Rex Nemorensis, sacerdote di Diana nel tempio di Nemi, le cui testimonianze si intrecciano con il contesto storico dell'antica Roma». L'architetto di Genzano ha legato il Nemus con i versi di Dante riuscendo a spiegare anche il motivo per cui la dea Diana avrebbe dimorato a Nemi. «Dante, in una lettera al condottiero e signore di Verona Cangrande della Scala – rivela Di Benedetti - spiega di essersi ispirato a luoghi reali per la stesura della Divina Commedia. E non è un segreto che l'Alighieri abbia letto le autobiografie di Ottaviano Augusto, nelle quali lo stesso imperatore diceva di aver visitato l'ingresso del regno dei morti mostratogli proprio dal rex Nemorensis, cioè dal cosiddetto Re di Nemi, sacerdote della divinità di Diana di Ariccia, sulle coste del lago di Nemi». Negli scritti di Augusto, pubblicati dalla Newton nel 2000, l'imperatore descrive l'incontro con il Rex, custode dell'antro che conduce nel'Ade. Ecco dunque spiegato il riferimento di Dante alla «selva oscura che la diritta via era smarrita». E la diritta via in questa affascinante ricostruzione sarebbe l'antica via Appia. «Da Roma a Terracina, un tratto rettilineo di oltre 90 chilometri che diventa sinuoso e quindi si smarrisce all'altezza della tomba degli Orazi e Curiazi, ad Albano, fino a Genzano ai confini con Nemi. Non è dunque Dante a smarrirsi, ma il rettilineo che quando attraversa la Selva–Nemus, curva. Non a caso Dante cita anche le tre belve nel canto I dell'Inferno e l'unica raffigurazione di tre belve si trova sulle navi romane ritrovate a Nemi».

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